About monicazarantonello

Monica Zarantonello nata a Bologna nel febbraio del 1971. Sposata nel 1991 e madre di tre figli. Ereditando dal padre la passione per i viaggi si è diplomata come operatrice turistica, mentre la radicata convinzione religiosa unita all'interesse per la psicologia e le relazioni pubbliche l'hanno indirizzata al ruolo di accompagnatrice turistica specializzata in pellegrinaggi con l'apertura di un blog. Poliedrica e volitiva si è saputa adattare anche al ruolo di decoratrice di torte e alla biscotteria. Ha lavorato diversi anni nel salone di bellezza della sua famiglia senza mai abbandonare la scrittura, che ha sempre coltivato fin da bambina. Ha pubblicato la trilogia del mistero (Il mistero dell’Eterna Giovinezza nel 2018 – Il mistero della felicità altrui nel 2019 – Mistero Donna 2020) con la casa editrice Booksprint.

SECONDO CAPITOLO di ERASMO II

L’esperienza di Ilario

Dalla seconda serie “ERASMO OGNIBENE E LA SUA FAMIGLIA SPECIALE”

Ilario è il mio fratello maggiore, lui va alle medie e di ragazze se ne intende. Il suo cellulare è sempre pieno dei loro messaggi, ne riceve di giorno e di notte, sempre. Per non parlare di tutti i cuoricini e i vocali sdolcinati. Si fa continuamente delle foto che poi manda alle sue ragazze, sempre con la stessa espressione da duro, sempre di lato, mostrando solo un occhio e mezza testa… io non ci riesco a fare quella faccia. Ma lui devo dire che si è esercitato molto davanti allo specchio.

Una volta gli ho chiesto il perché usa sempre quell’espressione. Non me lo ha saputo spiegare bene, anzi mi ha cacciato via. Ora invece quando si prepara per uscire con una femmina, chiede il mio parere.

«Non trovi che sia bellissimo?» mi ha chiesto sfoderando anche i suoi pettorali.

Il bicipite di mio fratello Ilario

«Per me sei sempre uguale.» gli ho risposto sbuffando.

«Tu non capisci niente. Le ragazze vanno matte per questi qui.» e tirando un braccio mi ha mostrato il bicipite.

Io ero molto dubbioso, proprio non potevo credere che fosse vero, ma effettivamente, dovevo ammettere che le femmine a lui non mancavano, quindi doveva di certo avere ragione. Allora perché le rincorreva tirando loro le caccole come gli avevo visto fare una volta dalla finestra di camera mia? Fui tentato di chiederglielo, ma mi trattenni per paura che lo facesse anche con me. Io odio le caccole altrui. A volte, quando la mamma non lo guarda, me le mette nelle pietanze migliori per mangiarsele tutte, perché sa che mi danno il disgusto.

Intanto io mi ero segnato su di un foglio tutti i consigli per Attilio, che senza volere mio fratello mi aveva dato.

– lancio delle caccole

– foto con mezza faccia da duro

– pettorali nudi

– muscolo del braccio

Mi sembrava già molto quello che avevo recuperato e lo condivisi il giorno dopo con Attilio. Avrei preferito ci fosse anche Matteo, ma da quando aveva litigato con lui, parlava solo con me, mentre tra loro si scambiavano solo boccacce e spintoni.

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PRIMO CAPITOLO di ERASMO II

Matteo entra in azione

Dalla seconda serie “ERASMO OGNIBENE E LA SUA FAMIGLIA SPECIALE”

Mi ero già affezionato molto ad Attilio e sperai proprio che Matteo si stesse sbagliando circa il suo presunto innamoramento. E’ risaputo che quando i ragazzi si interessano alle femmine non tornano mai più come prima. Diventano come delle marionette e non possono più fare ciò che vogliono. Infatti tutte le volte che chiedo a mio fratello Ilario di giocare con me, dice che deve uscire con una ragazza e non ha tempo.

«Comunque, mio fratello non ha mai fatto quella faccia e lui di ragazze ne ha tantissime. Secondo me deve andare al bagno. Io divento così solo quando mi scappa forte e ho paura di non arrivare in tempo al gabinetto.» dissi un giorno a Matteo che mi rise letteralmente in faccia, senza nessun rispetto per la mia opinione.

«Fidati è solo innamorato.» e mi indicò una femmina dai capelli biondi con la quale non avevo mai parlato, che mostrava con soddisfazione alle amiche, un paio di scarpe nuove. Io non l’avevo mai notata, non ero nemmeno sicuro che fosse nella nostra classe.

«Sei sempre troppo distratto Erasmo, è quella che ha la mamma che fa la fornaia. Porta sempre delle merende buonissime.» Ovviamente io non potevo saperlo, nessuna femmina aveva mai diviso la sua merenda con me.

Abbiamo raggiunto Attilio, che se ne stava seduto ai piedi di un albero, abbracciandosi le gambe e con una faccia bianca a chiazze rosse. Continuavo a pensare che Matteo si stesse sbagliando. Tutte le femmine della nostra classe sono estremamente noiose, non fanno che parlare con una voce stridula delle solite cose, che a me non interessano, ridacchiano di continuo e se porti loro un ragno o un calabrone urlano come fosse un serpente. Meno male che mia sorella non è così. Che cosa ci può essere di divertente nello stare in loro compagnia?

«Ciao Attilio, sei riuscito a parlarle, oggi?» gli chiese Matteo, che ovviamente era al corrente più di me della situazione.

Vidi Attilio muovere la testa in senso negativo e mi sembrò quasi di vederlo tremare.

«Sei sicuro di non dover andare al bagno?» insistetti io speranzoso. Ricevetti uno sguardo che mi fece zittire. Fu in quell’istante che compresi, che davvero Attilio Semprini aveva un grossissimo problema. Era innamorato di una biondina che “non lo se lo filava nemmeno di striscio”. Così disse Matteo alzando gli occhi al cielo.

«E se vado io a dirle che la ami?» chiese Matteo con grande coraggio, mentre Attilio iniziò a scuotere la testa più forte di un terremoto e ancora non parlava.

Matteo però è un tipo piuttosto risoluto e quando si mette nella testa qualcosa, non c’è niente da fare, parte spedito. Senza accettare ragioni, si è diretto verso quella femmina tutta lentigginosa, mentre Attilio, ancora più spaventato si era nascosto dietro il tronco dell’albero sbirciando con un occhio la scena. Solo ogni tanto quando gli sembrava che parlassero di lui, chiudeva gli occhi e tremava più forte.

Ho visto Matteo avvicinarsi alla biondina e l’ho sentito mentre le faceva i complimenti per le sue scarpe. Come gli sia venuto in mente di attaccare discorso in quel modo, proprio non me lo spiego. Io non ci avrei mai pensato.

Quando suonò la campanella che ci avvisava di dover rientrare in classe era ancora in sua compagnia. Feci appena in tempo a chiedergli com’era andata prima che la maestra mi fulminasse con uno sguardo. Mi disse che aveva fatto del suo meglio, alzando le braccia e le spalle. Praticamente non c’era riuscito.

Io lo conosco bene. Fa sempre il duro, ma poi non ha micca tutto quel coraggio che vuol mostrare. Da quel giorno però, la biondina, non ha smesso un attimo di stare attaccata a Matteo. Attilio ovviamente, si è arrabbiato con lui. Lo ha accusato di volergli portare via la ragazza, mentre l’altro lo reputava un ingrato perché non aveva capito il suo sforzo di aiutarlo.

Il nostro gruppo era in pericolo. Dovevo assolutamente fare qualcosa per evitare che questa faccenda dell’innamoramento ci dividesse per sempre. Non mi rimaneva che chiedere aiuto alla mia famiglia speciale. Ogni volta che ho avuto un problema hanno sempre saputo aiutarmi, lo avrebbero fatto di sicuro anche questa volta.

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OTTAVO CAPITOLO di Erasmo

Erasmo Ognibene

Eccoci dunque arrivati a me e al mio calzino, che ha un posto d’onore nella teca di vetro sigillata.

Una volta scoperti tutti i poteri della mia famiglia non mi restava che impegnarmi a trovare il mio. Mi sembrava di essere diventato bravo in questo gioco, ma da solo proprio non ce la facevo.

Il giorno in cui Erasmo ha scoperto il suo segreto

Papà era ancora occupato e non potevo disturbarlo, tanto mi aveva già detto che dovevo scoprirlo da solo, quindi quella mattina andai a scuola più pensieroso del solito. Se ne accorse anche Attilio, il mio compagno di banco, che non parlava mai, ma quel giorno mi chiese se i tipacci si erano fatti vivi di nuovo, visto il mio sguardo severo.

«No, non si sono più fatti vivi dopo che mio fratello ne ha minacciato uno, ma mi manca molto il mio amico Matteo.» gli dissi appoggiando il mento sul banco.

«Io non credo sia tanto contento di stare con loro.» mi rispose sicuro.

«Perché dici così?»

Mi fece guardare fuori dalla finestra e vidi che ora, che non potevano più prendersela con me, dopo quanto aveva fatto Ilario, quei tipacci se la stavano prendendo con Matteo. Quando lo raggiunsi i ragazzacci se n’erano già andati e anche se non voleva che lo vedessi, mi ero accorto che stava piangendo.

Mi è venuta una rabbia. Anche se lui non si era comportato bene con me, non volevo che lo trattassero così. Era pur sempre il mio amico. Lui non aveva un fratello come il mio in grado di poterlo difendere, quindi ho pensato, che dovevo fare qualcosa. Papà aveva detto che tutti i super eroi devono salvare le persone in difficoltà. Lui aveva salvato la sua famiglia, io ora avrei aiutato Matteo.

Quando tornai a casa mi tolsi le scarpe e mi misi sul divano ad aspettare che la mamma mi chiamasse a tavola, ma entrò mio fratello dicendo che c’era una gran puzza di piedi. Anche la mamma notò questo particolare.

«Ma cos’è questo fetore nauseabondo?» disse disgustata.

Ilaro fece subito la spia e lei mi ordinò di lavarmi i piedi. Ma si è mai visto uno che si lava i piedi a mezzogiorno? Eppure, dovetti farlo perché quando la mamma dice una cosa bisogna sempre ubbidire. Mentre contrariato mi recavo al bagno mi resi conto che mi avevano involontariamente fatto capire quale fosse il mio potere. I miei piedi puzzano terribilmente, anche se li lavavo due volte al giorno. Così pensai che se non me ne fossi lavato uno per molto tempo, alla fine avrebbe fatto una puzza tale da far scappare chiunque e quella avrebbe potuto anche diventare un’arma, quasi come le puzzette di nonna Margherita.

Quando tornai dalla mamma e mi chiese di dimostrarle che mi ero lavato, le feci annusare l’unico piede sul quale avevo intenzione di usare il sapone, almeno fino a che non avessi escogitato il mio piano. Sapevo che non avrebbe chiesto di annusare anche l’altro. E così fu.

Per una settimana utilizzai lo stesso calzino, senza mai lavarmi il piede sinistro che secondo me era sempre stato quello dall’odore più intenso. Invece della doccia facevo il bagno, lasciando fuori il piede che era diventato talmente puzzolente da stendere un intero esercito di formiche. La mamma continuava a controllare ovunque per capire da dove arrivasse quel tanfo, ma non poteva certo immaginare che fossi io, visto che le mostravo sempre il piede profumato.

Alla fine della settimana ero già diventato un’arma batteriologica, così mi aveva definito mio fratello, che accortosi del mio trucco voleva dire tutto alla mamma. Io però lo convinsi che quell’arma mi sarebbe servita per dare una lezione a quei tipacci e così decise di aiutarmi.

Arrivato a scuola vidi i bulli prendere in giro Matteo. Erano tutti così impegnati con lui che nessuno si rese conto che io stavo mettendo dentro lo zaino del loro capo, il mio super calzino puzzolente, sfregandolo bene sui libri, sull’astuccio, sul diario, dentro e fuori e lo stesso feci con quelli dei suoi amici, anche se in modo meno accurato. Quando ebbi finito andai verso il mio amico e prendendo spunto da quello che aveva fatto mio nonno dissi qualche parola strana, tanto per fare un po’ di scena. Loro si erano fermati tutti per guardarmi come fossi matto. Dissi che avevo fatto un rito magico e se si fossero ancora comportati da prepotenti avrebbero avuto delle spiacevoli sorprese.

Il calzino super puzzolente di Erasmo finito sottovuoto

«Ma che dici tappetto? Solo perché c’è tuo fratello che ti protegge non vuol dire che non possiamo prendercela con lui.» disse il capo indicando Matteo.

«Prendete le vostre cose e lasciateci stare. Matteo è mio amico e se ve la prendete con lui dovrete fare i conti con tutta la mia famiglia.»

Matteo mi guardò con gli occhi sgranati, si vedeva che era commosso e contento che non mi ero dimenticato di lui. I tipacci se ne andarono borbottando e ridacchiando, ma venni a sapere che erano stati buttati fuori dalla classe perché tutta la loro roba puzzava terribilmente. Dovettero sostituire tutto, anche gli zainetti. Il mio potere era davvero un’arma potentissima. Una volta raccontato tutto a papà ci mettemmo d’accordo per mettere il calzino puzzolente dentro un vetro, in modo che se qualche altro brutto tipo avesse fatto il prepotente con noi, avremmo saputo come difenderci.

Matteo Goldoni e io siamo diventati inseparabili. Dopo poco, si è unito al nostro gruppo anche Attilio. Ora siamo una squadra perfetta e il merito di tutto questo è della mia “famiglia speciale” e del mio super papà.

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SETTIMO CAPITOLO di Erasmo

La mia sorellina Alice

A quel punto mi sentivo davvero bravo a scoprire segreti e pensai che trovare quello della mia sorellina Alice non doveva essere poi così difficile. Lei di certo non avrebbe tentato di nascondermelo come aveva fatto Ilario.

Quando la mamma si allontanò dalla cucina lasciando la mia sorellina sul seggiolone, le andai vicino per parlarle in un orecchio. Le dissi che volevo scoprire il suo dono e che se lo sapeva mi avrebbe fatto davvero felice a suggerirmi quale fosse.

Attesi con impazienza, ma riuscì solo a farle fare uno strillo che quasi mi rese sordo. La mamma corse subito prendendola in braccio ed ebbi come la sensazione che con la testa appoggiata alla sua spalla mi stesse facendo una linguaccia.

Me ne andai arrabbiato. Pensavo che con lei sarebbe stato più facile, invece mi aveva dimostrato che era molto furba. Non sapeva però quanto sono bravo come spia. Quel giorno non la lasciai un momento, rimasi sempre con lei.

Le ho anche ispezionato il naso, ma poi la mamma mi ha rimproverato. Ha detto che non si deve mai puntare la luce negli occhi, ma io non la volevo mettere negli occhi, solo nel naso. Le avevo controllato anche le orecchie e pure il pannolone, nel caso vi fosse una cacca dura come quella del nonno, ma per poco non mi veniva da vomitare e non era per niente dura. Ho cercato di sdraiarmi vicino a lei per vedere se mi faceva dormire, ma nemmeno quello ha funzionato.

Ho chiesto aiuto a papà, ma era troppo occupato e non poteva ascoltarmi. Quando la mamma ha visto che ero imbronciato mi ha fatto tornare il sorriso dicendomi che ci avrebbe portato ai giardinetti. Peccato che ha sempre un sacco di cose da preparare prima di uscire.

La mamma ha capito che mi stanco ad aspettare e così mi chiede di aiutarla a mettere tutto nella borsa che porteremo con noi. Lei pensa alle cose per Alice e io mi affretto a mettere il pallone e la merenda. Cerco di essere sempre velocissimo perché ho paura che cambi idea e non ci porti più. Quando siamo arrivati non c’erano altri bambini, così ho fatto compagnia ad Alice mentre la mamma leggeva il suo libro, ma non è molto brava a giocare. Con mio fratello è molto più bello perché posso lanciare il pallone.

Mia sorella Alice al parco

Quando sono arrivati altri bambini ho finalmente potuto correre e vedevo che Alice era contenta come me. Seduta sul suo passeggino batteva le mani divertita. Quando la mamma mi ha chiamato per la merenda ero tutto sudato. Alice aveva il suo biberon con il latte e i biscottini sbriciolati, mentre io avevo una banana e una barretta di cioccolato. Tutte le volte che Alice finisce di mangiare, la mamma se l’appoggia sulla spalla e le batte la schiena aspettando il ruttino. Quando lo fa le dice sempre che è stata brava, mentre se lo faccio io mi sgrida.

Non so la vostra, ma la mia sorellina fa i rutti più rumorosi che io abbia mai sentito. Più forti di quelli di mio fratello Ilario e anche del mio papà. La mamma, infatti, dice sempre che si vergogna quando è in compagnia di estranei perché ha paura che diano a lei la colpa a lei di quel rumore. Però se ci tiene tanto affinché non li trattenga, come invece chiede a me, può voler dire solo una cosa, e cioè che quello è il suo dono.

Ormai ai giardinetti conoscono tutti questa sua abilità, ma all’inizio vedevo la mamma diventare tutta rossa in viso. Così mi sono detto che, se Alice era così brava da piccola, chissà quanto sarebbe stata brava una volta diventata grande.

Ecco dunque svelato il suo dono. Ma come mi ha raccomandato papà, non l’ho detto a nessuno, è giusto che anche lei lo scopra da sola, come ho fatto io.  

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SESTO CAPITOLO di Erasmo

MIO FRATELLO ILARIO

Dopo quanto mi aveva raccontato mio padre, avevo capito che anche i poteri altrui potevano essere pericolosi, quindi dovevo assolutamente imparare a riconoscerli. Proprio come aveva fatto papà con mamma. Lui aveva capito che il suo talento per addormentare le persone doveva essere tenuto sotto controllo. Per questo andava quasi sempre a letto dopo di lei.  Anch’io volevo proteggermi e il primo a cui dovevo prestare attenzione era sicuramente mio fratello Ilario.

«Non è cattivo, solo un po’ dispettoso. E comunque ti vuole un gran bene.» mi rassicurava sempre mamma.

Che mi volesse bene lo avevo capito quando ha visto uno di quei bambini dispettosi lanciami lo zainetto. Ѐ arrivato in mio aiuto come un super eroe. Lo ha preso per il colletto e gli ha detto che se lo avesse fatto un’altra volta, ad essere lanciato oltre il cancello della scuola sarebbe stato lui. Ilario se n’è andato subito dopo con la sua aria da duro, strizzandomi un occhio, mentre io ero rimasto a bocca aperta guardandolo andare via incredulo, ma poi a casa l’ho abbracciato forte. Ho visto che era contento, anche se poi ha cominciato a farmi il solletico dicendo che solo lui poteva torturarmi. Quando fa così mi fa tanto ridere.

Mio fratello Ilario

Questa è una di quelle cose che fanno i fratelli maggiori e io spero di essere un giorno altrettanto bravo con la mia sorellina, in modo da proteggerla sempre da ogni tipaccio.

Da quel momento non ebbi più fastidi con quei bambini dispettosi, ma Matteo Goldoni era rimasto con loro e a me mancava ancora tantissimo. Forse il mio potere sarebbe stato in grado di riunirci, ma prima dovevo fare pratica scoprendo quello degli altri, per non sbagliarmi. Così mi misi a tenere d’occhio mio fratello.

Lo spiai tutto il giorno imitando quello che faceva per rendermi conto del perché lo facesse. Ad esempio, avevo notato che appena sveglio si grattava vivacemente la testa. Pensai che il suo potere derivasse da lì, e così ho provato anch’io, ma mentre lui poteva usare il gel di papà per risistemarsi i capelli, io mi creavo dei nodi che poi mi facevano molto male, quando la mamma mi pettinava.

Ilario si fermava spesso davanti allo specchio per ispezionarsi il viso e il petto. Spera che gli spuntino dei peli … ma secondo me non riuscirà mai ad averli come quelli di papà. Un’altra sua caratteristica è quella di riuscire a fare tantissime cose tutte insieme. Io non ce la farei mai. Lui può mangiare, giocare alla Play, rispondere ai messaggi sul telefonino e ascoltare la radio tutto insieme. Quasi quasi pensai di aver trovato il suo dono, fin tanto che non venne da noi il suo amico Giorgio che è molto più veloce nel fare queste cose, aggiungendoci anche il canto.

Arrivata la sera ero un po’ triste, perché non ce l’avevo fatta a capire cosa rendesse mio fratello un membro a tutti gli effetti di una “famiglia speciale” come la nostra. Se poi non aveva un potere lui, figuriamoci io.

Lo strepitoso naso di Ilario

Ero già andato a letto quando mi dovetti alzare per correre al bagno e fu proprio nel tornare che vidi Ilario in giardino. Stava rincorrendo una ragazza. Mi appiccicai alla finestra per controllare bene. Tra una corsa e l’altra cercava di lanciarle delle caccole che si tirava fuori dal naso come fossero proiettili.

Controllai subito il mio naso, convinto di trovarne anch’io così tante, ma era vuoto o forse ce n’era una piccola, piccola. Che delusione. Ecco dunque scoperto il suo segreto! Al mattino mi alzai prima di lui, presi la torcia elettrica che mi aveva regalato il nonno e che tenevo ben nascosta nel comodino, per ispezionargli bene il naso. Purtroppo, non sono riuscito a vedere bene da dove arrivavano tutte quelle caccole, perché Ilario con la luce si è svegliato e voleva picchiarmi. Così sono dovuto scappare in camera dalla mamma. Dopo tutto, credo volesse solo difendere il suo segreto.

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QUINTO CAPITOLO di Erasmo

MAMMA OLIVIA

«Papà, nella nostra famiglia anche la mamma ha un potere?»

«Certo Erasmo. Come ti ho detto tutti ne abbiamo uno. Dobbiamo solo scoprire di che si tratta e imparare come adoperarlo. Ma quello di tua madre è un potere meraviglioso, quanto lei.»

«Niente a che vedere con cacca e puzzette allora?» risposi sorridendo.

«Assolutamente no. Il suo è il potere degli angeli.» lo disse abbassando la voce come si fa con un vero segreto.

Mamma Olivia in braccio alla sua mamma

Mi fece cenno di seguirlo e lo vidi chinarsi davanti alla porta della sua camera da letto. Aprì piano come desiderasse non farsi notare e insieme guardammo dentro. Mamma stava tenendo tra le braccia la mia sorellina Alice che sembrava non volerne sapere di dormire, perché continuava a muoversi e a frignare come fa spesso. Sentii la mamma cantare una ninna nanna, la stessa che ha cantato a me e a mio fratello quando eravamo piccoli. Poco per volta ho visto Alice calmarsi. Quando l’ha messa nel lettino di fianco al loro, era già addormentata.

Seguii mio padre in salotto. Mi fece tornare sulle sue ginocchia come sempre e lì mi chiese se avevo capito.

«Io trovo che il potere di tua madre sia lo stesso potere che devono avere anche gli angeli custodi. Quelli che di notte ti addormentano accarezzandoti la fronte

«Tu me lo dicevi sempre, quando non volevo dormire, che sarebbe arrivato il mio angioletto ad accarezzarmi per farmi addormentare. Anche la mamma può farlo?»

«Io penso proprio di sì. Ricordo anche che tu eri veramente un osso duro qualche anno fa. Ti mettevi seduto sul nostro lettone dicendo che non ti saresti addormentato perché volevi sempre giocare. La mamma ti prendeva vicino a se e con la sua voce dolce ti diceva che avreste solo riposato, che le avresti solo fatto compagnia. Ti accarezzava, ti dava tanti bacetti, come ha fatto ora con Alice e tu fuggivi nel mondo dei sogni.»

«E’ vero! Me lo ricordo. Meno male che ora usa il suo potere su Alice e non mi obbliga più a fare il riposino come i bambini piccoli. Ma ha adoperato il suo potere anche con te?»

«In verità, credo che lei sia una di quelle persone che non si sono ancora rese conto del loro dono. Infatti, preferisce andare a letto prima di me per non sentirmi russare.»

Mamma Olivia mentre esercita il suo potere

Mi venne da ridere, perché davvero la mamma lo rimproverava di addormentarsi subito e prima di lei, ma se lei aveva quel potere, lui poverino come poteva resisterle. Una lampadina mi si accese sulla testa quando compresi che era tutto vero quello che mi aveva detto papà: abbiamo tutti dei doni che spesso non sappiamo far funzionare finché non ce ne rendiamo conto. Io devo stare molto attento. Ora che lo so, non voglio farmi influenzare dal potere degli altri, ma voglio ancora scoprire quale sia il mio.

Mi avvicinai a mio fratello Ilario cercando di accarezzarlo e dargli qualche bacetto per vedere se possedevo lo stesso dono, ma credo che sia un potere che possono avere solo le mamme, perché invece di calmarsi si è agitato e ha cominciato a lanciarmi di tutto, per farmi uscire da camera sua. Nemmeno con Alice riesco ad essere bravo. Quando strilla non riesco a calmarla neanche facendo le boccacce o il gioco del cucù.

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QUARTO CAPITOLO di Erasmo

Papà Ulisse

La domenica successiva mio padre mi prese nuovamente sulle gambe e mi chiese come andava a scuola. Purtroppo, la situazione non era cambiata. Quei ragazzini dispettosi continuavano a prendermi in giro, avevo sbagliato il dettato, che a tutti era sembrato semplicissimo e la merenda si era schiacciata dentro lo zaino due volte quella settimana, tanto che la maestra aveva chiesto a mia madre un contributo per i “bimbi smemorati”, visto che alla fine ero sempre io ad usufruirne.

«Come mai ti si è schiacciata di nuovo la merenda?» mi chiese mio padre.

«Per la verità mi prendono lo zaino e lo lanciano come fosse un pallone, poi magari ci si siedono sopra e alla fine la merenda… ma non voglio, che vieni tu. Voglio cavarmela da solo. Dimmi cosa devo fare per avere il mio super potere.»

«D’accordo. Ma sei proprio sicuro che non vuoi che venga a scuola a parlare con la maestra?»

«Se lo fai diranno che sono una femminuccia, che ho bisogno del papà per difendermi. Sarà anche peggio. La maestra non c’è, quando fanno quelle cose e nessuno può vederli.»

Avevo capito che mio padre non era molto contento di quella situazione e avrebbe voluto fare due chiacchiere con loro e con i loro genitori, ma io volevo che mi rispettassero e se avessi mandato lui, non avrei mai potuto avere il loro rispetto. Ero quindi intenzionato ad andare avanti con quella ricerca del mio potere e forte di quella sicurezza avrei sconfitto i cattivi e mi sarei ripreso il mio amico. Fui molto contento quando vidi che mio padre mi assecondava e attento attesi il seguito del racconto.

Papà Ulisse da bambino

«Vedi questa foto? Sono tutti i miei fratelli. Nonna Margherita aveva il suo bel da fare. Tutti maschi per giunta, solo una sorella. Io ero il più terribile, così dicevano lei e mia madre. Non avevo paura di niente e sfidavo tutti. La nostra famiglia però non era molto ricca e tante bocche da sfamare erano qualcosa di impegnativo. Mia mamma faceva del suo meglio, ma spesso ci dovevamo accontentare di zuppe annacquate e frattaglie. Se ne rammaricava molto, ma la povertà non è una cosa che si può scegliere quando si è piccoli.»

«Quindi tu hai patito la fame?»

«In famiglia l’abbiamo patita tutti io forse un po’ meno. E a quel tempo nel mio paese c’era poco per tanti e troppo per pochi. Fu proprio per avere un’entrata in più che mia sorella fu presa a servizio in una delle famiglie ricche della zona. La facevano faticare come una schiava e in più il loro figliastro era veramente antipatico e la disturbava sempre. A volte mi portava con lei perché non mi volevano lasciare a casa da solo, mi metteva sul tavolo mentre faceva i lavori. Sono caduto solo una volta, poi non mi sono più mosso.»

Risi insieme a lui pur pensando che non doveva essere stato molto felice da piccolo anche se riusciva sempre a trovare il lato divertente di tutte le situazioni.

«Tu ora guardi i cartoni animati in televisione e sul cellulare, ma ai miei tempi c’era una scatola che si chiamava mangiadischi. Io mettevo dentro il disco e quella mi faceva sentire una favola e sono cresciuto così, su quel tavolo prima, in terra poi, ascoltando storie, spesso sempre le stesse, ma era l’unico modo per tenermi buono. Fin quando ho cominciato a correre via e a combinarne di tutti i colori…»

Scoprii che gli avanzi di quella famiglia divennero il loro più appetitoso sostentamento. Peccato che quel tale che importunava mia zia divenne sempre più insistente tanto da costringerla a lasciare il suo posto di lavoro. Mio padre che era molto legato alla sorella ed era già diventato grande, cercò di escogitare un modo per riappropriarsi di quel privilegio che suo malgrado gli era stato tolto. Ero sempre più ansioso di sapere qual era il suo potere e come lo aveva scoperto.

«Non essere impaziente, ora ci arrivo. Ecco la foto che stavo cercando.»

Mi mostrò un’immagine di lui seduto su di una tavola ingombra di piatti e avanzi, con indosso una specie di tovaglia, la faccia sporca e un sorriso evidentemente forzato, mentre due tali gli tenevano in aria le braccia in segno di vittoria.

«Hai presente quando tua madre dice che non ho la valvola del pieno? Ebbene quella è la mia arma vincente.»

Com’era possibile che mangiare tanto fosse un super potere? Non ci potevo credere. Questa volta proprio non mi convinceva.

«Davvero non credi che possa essere un potere? Ora ti racconto. Fin tanto che tua zia lavorava presso quella famiglia, tutti gli avanzi e credimi ne avevano davvero tanti e squisiti, li davano a mia sorella che li condivideva con tutti noi. Quando smise di lavorare tutto quel ben di Dio finì nella spazzatura. Quel brutto personaggio di cui ti ho parlato lo faceva apposta perché voleva indurci a rovistare tra la sua immondizia, come animali. Tale era il rispetto che aveva per chi non era nato altrettanto fortunato. Noi pativamo la fame, mentre lui gettava senza alcun riguardo del cibo squisito.»

Proseguendo mi spiegò che in casa dei miei nonni si erano già accorti tutti del suo straordinario appetito, l’unico a non essersene reso conto era lui. Nonna Margherita diceva che era come un uccellino, con la bocca sempre aperta e pronta ad ingerire qualunque cibo gli presentassero. Quando anch’egli si rese conto di questa sua formidabile capacità, comprese che doveva assolutamente sfruttare il suo talento per riappropriarsi di quel diritto che era stato loro tolto.

Chi aveva tanto cibo da buttare si sapeva, ma come convincerlo a fornirlo gratuitamente? Si dà il caso, che questo riccone fosse anche un grande scommettitore e venne sfidato da mio padre, il quale asseriva di essere in grado di mangiare per un’ora intera, senza mai fermarsi, un quantitativo considerevole di cibo. Se non avesse vinto la scommessa sarebbe diventato un suo garzone non pagato… per sempre. In caso contrario, tutto ciò che rimaneva dei lauti festini che si facevano in quella casa, lo avrebbe dovuto dare alla loro famiglia.

«Qui si vede bene che hai vinto, ma se solo avessi perso la scommessa? E cosa hai dovuto mangiare?»

Papà Ulisse all’inizio della sfida.

«Ti garantisco che mi hanno dato di tutto e di più, certe cose, come l’anguria, non voglio più nemmeno sentirle nominare, ma ne è valsa la pena. Quando ho compreso quale fosse il mio super potere mi sono sforzato di utilizzarlo per il bene di tutta la famiglia. A questo servono i super eroi, a salvare le persone e noi fummo salvati dalla fame.»

«Wow, sei stato molto coraggioso, pa! E la nonna e il nonno non ti hanno rimproverato? Se avessi perso sarebbe stato terribile, saresti diventato uno schiavo di quel brutto tipo.»

«I tuoi nonni lo seppero solo a sfida compiuta, ma il premio che ricevettero per la vittoria non dette loro modo di replicare.»

«Io penso che dovresti raccontare questa storia anche alla mamma, così non ti rimprovererebbe più se mangi troppo…»

«Hai ragione, forse lo farò. Anche tu sei molto furbo vedo. Quando avrai scoperto il tuo potere, sono sicuro che non avrai dubbi su come adoperarlo.»

Mi strizzò un occhio e scesi giù dalle sue gambe sentendomi molto più forte e coraggioso di prima. La mamma ci stava chiamando perché era già pronta la cena. A tavola guardai mio padre ripulire in un batti baleno il piatto. Io non riuscivo nemmeno a finire lo spezzatino con le patate che mi piacciono tanto. Il mio potere non era nemmeno quello.

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TERZO CAPITOLO di Erasmo

Nonna Margherita

 

Dopo qualche giorno, tornai a piagnucolare da mio padre. Volevo sapere a tutti i costi il mio super potere, continuando a ripetergli che se tutti ne avevano uno, io di certo no. Lui mi rassicurò che era impossibile, soprattutto nella nostra famiglia. Così presi di nuovo l’album di fotografie e gli dissi di parlarmi di nonna Margherita.

«E va bene. Mia mamma era molto dolce e molto bella, ma possedeva un potere disgustoso

«Più della cacca del nonno?»

«Molto, molto di più.»

A quel punto la mia attenzione era tutta catalizzata su mio padre. Volevo sapere tutto e lui iniziò, dopo avermi preso sulle sue gambe.

Nonna Margherita e la sua rivale in amore

«La nonna scoprì il suo dono molto prima di tuo nonno. Era ancora una bambina quando pensò di avere un problema, che si rivelò invece molto utile in seguito

«Avanti papà racconta.»

«Devi sapere che mia mamma non amava la scuola, non amava studiare e la maestra pur di non averla in classe a disturbare, la mandava a fare le pulizie a casa sua.»

«Ma si poteva?»

«In realtà no, ma una volta le cose andavano diversamente.»

«E il suo papà e la sua mamma non dicevano niente?»

«Era un accordo tra nonna Margherita e la maestra, che se ne guardava bene dal raccontare come stavano le cose, altrimenti avrebbe perso i suoi servizi. In cambio di quel lavoro lei la promuoveva ogni anno anche se non andava mai a lezione. Ma non farti illusioni, ora non funziona più così e tu non potresti fare altrettanto.»

«Io non sono nemmeno bravo a ordinare camera mia, non potrei farlo per la maestra.» risposi sorridendo.

«Tranquillo, non succederà. Però per tua nonna era un sollievo, perché preferiva muoversi piuttosto che starsene tutto il tempo seduta dentro quei banchetti tanto piccoli che usavano una volta.» e mi mostrò una foto di lei dentro un banco.

Aveva la faccia molto seria. Non sembrava per niente felice. Poverina. Forse c’erano bambini dispettosi anche nella sua classe. Pensai. E avevo ragione. Infatti, mio padre mi disse che fu proprio una bambina dispettosa a dire alla mia bisnonna che la maestra si faceva fare le pulizie da nonna Margherita, la quale fu costretta a tornare in classe e a studiare. Per giunta la mise proprio in banco con quella spiona. Non facevano che punzecchiarsi e tirarsi le trecce, fino al momento in cui alla nonna venne in mente di utilizzare il suo super potere.

«Devi sapere che tua nonna faceva delle puzzette terribili. Sembravano solide e rimanevano nell’aria per ore. Nonostante fossero in tanti in famiglia, era l’unica che poteva godere di una stanzetta da sola, perché la tua bisnonna diceva che poteva stenderli tutti e non farli svegliare mai più.»

Io ascoltavo incredulo. In quanto a puzzette, anch’io non me la cavo male, ma anche in quelle non sono un campione. La mia sorellina piccola è molto più brava di me. Però volevo sapere com’era riuscita a vendicarsi della sua compagna di scuola.

Il bambino di cui era innamorata nonna Margherita e il resto della classe

«Il caso volle che entrambe fossero attratte dallo stesso bambino. Un giorno in cui la vide chiacchierare animatamente con lui appoggiata ad un albero, decise che era giunto il momento anche per lei, di prendersi la sua rivincita. Si avvicinò di soppiatto senza farsi notare e da dietro la siepe lanciò una delle sue terribili puzzette. Nessuno la poteva vedere e il bambino disgustato dette subito la colpa all’unica persona che aveva davanti. Quella serie di “incidenti”, continuarono a ripetersi sempre più di frequente. Nonna Margherita era infatti libera di fare le sue puzzette ogni volta che voleva, tanto la colpa andava alla compagna di banco, che finì per pensare di essere davvero lei a fare quell’odore sgradevole senza nemmeno rendersene conto. Spesso capitava quando la maestra voleva interrogarla, o quando si stancava di stare seduta.»

Pensai che mi sarebbe piaciuto essere altrettanto bravo, ma di certo una volta le cose erano più facili. Oggi tutti si accorgerebbero che sono io a farle e al “Tuttobene?” ci aggiungerebbero un “puzzone”. Questo potere a me non servirebbe proprio. Una volta era molto più semplice essere bambini.

«Alla fine, bisogna anche dire che la mia mamma non era né cattiva, né vendicativa e si commosse quando la vide scappare via piangendo. Fu allora che comprese di aver esagerato. La consolò, la difese e divennero amiche. Anche se, non le confidò mai il suo segreto. Dopo tutto, i super poteri funzionano solo se rimangono segreti.»

Per quella sera i racconti purtroppo, finirono lì. Io dovevo ancora conoscere il mio e continuavo a dubitare di averne uno. Quando la mamma mi aiutò a fare il bagno mi guardai allo specchio e cercai di strizzare gli occhi per vedere se succedeva qualcosa, ma niente. Provai a fare il muscolo come fa sempre mio fratello prima di giocare a Braccio di Ferro, ma la forza non doveva certo essere tra i miei poteri. Che fatica essere bambini oggi! Una cosa però la sapevo: se fossi riuscito a riavere il mio amico, sarei stato il bambino più felice del mondo. Io mi divertivo tanto con Matteo prima che diventasse… così.

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SECONDO CAPITOLO di Erasmo

Nonno Ignazio

«Amore mio è giunto il momento di svelarti un grande segreto.»

Questo mi disse il mio papà mentre avevo gli occhi pieni di lacrime e gridavo di non voler più andare a scuola.

«Tu provieni da una famiglia di super eroi

Io l’ho guardato incredulo. Non avevo mai saputo che avessimo dei poteri speciali e pensavo che, se fosse stato vero, si erano dimenticati di me o non mi avevano trovato, perché non sapevo davvero fare niente.

Nonno Ignazio durante il servizio militare

«I super poteri sono doti naturali che si possiedono e nessuno può portarli via. Alcuni li chiamano talenti. Purtroppo, la maggior parte delle persone non si accorge di averli, li sottovaluta o addirittura se ne vergogna. Per non parlare di quelli che non li sanno proprio adoperare. Ma la nostra famiglia è sempre stata molto intelligente.»

Ovviamente non mi bastò quella spiegazione. Non solo volevo vedere di cosa fosse capace, ma desideravo conoscere subito il mio dono.

«Non avere fretta. Come ti ho detto, il talento bisogna saperlo conoscere bene per poterlo sfruttare al meglio, altrimenti non te ne fai nulla. Per questo ognuno di noi deve scoprire da se, qual è il suo, ma ti posso assicurare che alla fine arriverai da solo a capirlo e a quel punto sì, che ti sarà utile.»

«E riuscirò a ritornare amico di Matteo e ad avere anch’io tanti amici?»

«Questo dipenderà da te e dalle tue abilità. Vediamo da dove posso incominciare.»

A bocca aperta, con il moccio che mi colava dal naso e le guance rosse ancora rigate di lacrime, lo guardavo come non lo avevo mai guardato prima. Lui mi sorrideva e mi portò un grande volume pieno di fotografie. Lo riconobbi subito. Una volta non c’erano gli album digitali e le foto venivano stampate sulla carta e messe in libri dove li si poteva sfogliare.

«Partiremo dal principio. In questo album troveremo la storia della nostra famiglia.»

«Ma io la conosco già. Non voglio guardare queste vecchie foto.» piagnucolai pensando che volesse solo raccontarmi le solite storie di quando era bambino. Erano belle, ma me le aveva raccontate così tante volte che mi avevano stancato.

«Tu pensi di conoscerle, ma in realtà contengono grandi misteri.»

A quel punto ero davvero curioso. Poteva davvero esserci qualcosa che ancora non sapevo? Non capivo se anche lui si stesse prendendo gioco di me, oppure vi era davvero qualcosa di incredibile che avremmo condiviso insieme. Dopo aver sfogliato qualche pagina si fermò davanti all’immagine di mio nonno, il suo papà. Era ancora giovane e si appoggiava ad una pala davanti ad una stalla. Quando aveva conosciuto la nonna lavorava già in una fattoria molto grande. Al suo fianco vi erano due mucche. Una volta papà mi ci aveva portato e le mucche c’erano ancora.

«Questa foto te l’ho mostrata altre volte Erasmo, ma non ti ho mai detto che fu scattata un giorno molto particolare. Il giorno in cui mio padre mi confidò il nostro segreto, proprio come sto facendo io ora con te.»

Io lo guardavo a bocca aperta, per me era una foto qualunque, in bianco e nero, anche troppo piccola. Mi raccontò che nonno Ignazio era stato rimproverato dalla nonna Margherita che lo aveva costretto suo malgrado ad una dieta speciale che comprendeva grandi quantità di riso, carote e patate.

«Quando sono malato anche a me la mamma da sempre quelle cose insieme alle fette biscottate.»

«Ѐ vero e proprio in quell’occasione comprese quanto fosse speciale il suo particolarissimo potere.»

Io continuavo a non capire, ma volevo che andasse avanti. Mi spiegò che fece una cacca così dura, che non riuscivano più a mandarla giù dal gabinetto. Mi fece molto ridere, ma non potevo capire che potere fosse mai questo e a che cosa poteva mai tornare utile.

«Per tre giorni la cacca del nonno rimase immobile dove era stata lasciata. Nessuno voleva prenderla con le mani e per quanta acqua si buttasse, o detersivi o altro, non vi era nulla da fare, continuava a rimanere lì e nessuno voleva più usare il bagno. Alla fine, il nonno riuscì a rimediare con un solvente particolarmente aggressivo. Non sai che sollievo per nonna Margherita e per tutti noi.»

«Si, ma alla fine a cosa mi servirebbe fare una cacca così?»

«Oh, ma questo non è il tuo potere, questo era il suo. Il potere maggiore è quello che diamo noi alle cose. Anche nonno Ignazio aveva un nemico, come tutti i super eroi. Era il suo vicino di casa. Non faceva che fargli i dispetti. Soprattutto al nostro cane. Così questa “disavventura” gli dette lo spunto per una divertente rivincita. Iniziò col fargli credere di essere uno stregone, che poteva fare addirittura maledizioni, giocando sul fatto che il suo vicino era molto pauroso e superstizioso. Temeva questo genere di cose, ma non era così sprovveduto da credere solo a quelle danze pittoresche e a quei canti assurdi che si inventava tuo nonno. Mio padre però sapeva che quello era solo l’inizio. Infatti, il giorno successivo a quella sceneggiata, si introdusse furtivo nella casa di quel villano e lasciò nel gabinetto un ricordino poco profumato, di quelli che solo lui sapeva fare. Poi fuggì via. Noi ci svegliammo quella mattina con le urla della moglie. Credo che anche per loro sia stato complicato distruggere quel maleodorante intruso. Quando tuo nonno me lo ha raccontato non sai quanto ci siamo divertiti.»

«Nonno Ignazio era davvero furbo e coraggioso. Entrare come un ladro in quella casa senza nemmeno farsi scoprire… è pericoloso.»

«Una volta era più facile intrufolarsi nelle case. Non avevano cancelli e serrature come oggi. Lui poi, non aveva portato via niente, anzi aveva lasciato qualcosa…»

Ci mettemmo a ridere insieme. Poi però divenni nuovamente triste e pensieroso.

«Ma i dispetti, ha continuato a farglieli?»

«No. Non li fece più. E se devo essere sincero penso che nonostante abbiano continuato a beccarsi affabilmente, si volevano anche bene.»

Continuammo a scherzare immaginando le facce di mamma se si fosse trovata nei panni di nonna Margherita. Alla fine, però, non ero proprio convinto che fosse un vero potere da super eroe. Io poi non sarei mai riuscito ad essere così bravo. Di certo non avevo il dono del nonno. La mamma mi aveva fatto mangiare quelle cose tante volte quando ero malato e non avevo mai fatto una cacca così.

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PRIMO CAPITOLO di Erasmo

Matteo Goldoni

Matteo Goldoni  Tutto ebbe inizio quando quello che credevo essere il mio più grande amico, Matteo Goldoni, ha pensato che una volta finita la scuola materna, non potesse più esserlo. Io e Matteo eravamo inseparabili anche se lui è bravissimo a correre, mentre io mi stanco subito e rimango indietro. A scuola poi è super. Quando la maestra fa una domanda lui alza sempre la mano, io invece mi agito e comincio a sudare, dimenticando tutto. Credo sia anche più carino di me, perché le bambine della nostra classe continuano a dividere con lui la merenda. Io, se la dimentico ho solo quella di scorta che la maestra tiene nell’armadietto rosso per i “bimbi smemorati”. Alla fine, Matteo mi ha detto che non era bene per lui avere un amico come me, così si è spostato nell’ultimo banco. Di fianco a me la maestra ha messo un bambino di nome Attilio. Non parla molto e credo che anche lui non sia molto bravo ad ascoltare, perché non sa rispondere a nessuna domanda.

Dopo Natale, Matteo era entrato a far parte di un gruppo nel quale c’erano anche dei bambini più grandi, mentre la mia unica compagnia era rimasta Attilio. Hanno iniziato a prendermi in giro, storpiando il mio cognome da Ognibene in “Tuttobene?” E non la smettevano più. Matteo non faceva niente per salvarmi, anzi si metteva a ridere, ma poi vedevo che abbassava gli occhi. Io però soffrivo molto e piangevo. Ѐ stato così che il mio papà, scoprì quello che stava succedendo e come un vero super eroe riuscì a salvarmi, parlandomi del nostro misterioso dono di famiglia.

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