About monicazarantonello

Monica Zarantonello nata a Bologna nel febbraio del 1971. Sposata nel 1991 e madre di tre figli. Ereditando dal padre la passione per i viaggi si è diplomata come operatrice turistica, mentre la radicata convinzione religiosa unita all'interesse per la psicologia e le relazioni pubbliche l'hanno indirizzata al ruolo di accompagnatrice turistica specializzata in pellegrinaggi con l'apertura di un blog. Poliedrica e volitiva si è saputa adattare anche al ruolo di decoratrice di torte e alla biscotteria. Ha lavorato diversi anni nel salone di bellezza della sua famiglia senza mai abbandonare la scrittura, che ha sempre coltivato fin da bambina. Ha pubblicato la trilogia del mistero (Il mistero dell’Eterna Giovinezza nel 2018 – Il mistero della felicità altrui nel 2019 – Mistero Donna 2020) con la casa editrice Booksprint.

I CAPELLI DI UNA STELLA

Dal romanzo inedito “Le figlie del Sole”

I CAPELLI DI UNA STELLA

Stella era una bambina timida ma socievole, amava aiutare gli altri senza mai mettersi al centro dell’attenzione. Era stata cresciuta da un’anziana donna appartenente al popolo San i “boscimani” che abitano la regione del Kruger in Sudafrica da almeno 100.000 anni. Non le aveva mai voluto parlare della sua infanzia, non sapeva quindi chi fossero i suoi veri genitori. Ogni volta che faceva domande, la vecchia San ripeteva che era troppo anziana, che non ricordava o semplicemente cambiava discorso, ma una cosa gliel’aveva detta e ridetta tante volte da quando era piccina:

«Tu sei una bambina molto speciale. Quando sei nata le stelle nel cielo hanno fatto festa danzandoti intorno stupite. Una di loro ti ha regalato una luce che non si spegnerà mai. Come il tuo sorriso “my baba”.» E con l’indice, puntualmente le toccava il centro della fronte lasciandosi scappare un’espressione serena, che difficilmente scorgeva il quel viso segnato dal tempo e dalle ristrettezze cui si sottoponeva. Purtroppo, il sorriso della piccola “baba” si spense molto più in fretta di quanto la sua nutrice potesse immaginare.

Il villaggio di Stella era davvero piccolo, eppure apparentemente possedeva tutto quello che le poteva servire per sentirsi appagata, almeno fin tanto che era bambina.

La sua vita, seppur monotona, era scandita dall’avvicendarsi dei suoni alti e bassi dell’mbila, un idiofono che secondo la mitologia bantù, era presente sin dai tempi della creazione del mondo, tanto sacro che anche il suo suonatore veniva considerato una sorta di eletto, un individuo protetto dagli spiriti ancestrali. Ogni lamella presente in quello che a tutti gli effetti le risultava essere il teschio di un animale, rappresentava una fase della creazione e lei si incantava ad ascoltarlo ogni volta che ne aveva la possibilità. Crescendo, riuscì a dimostrare tanto zelo per quello strumento che alla fine, la sua perseveranza venne premiata e seppur di nascosto, ebbe il privilegio di imparare a suonarlo.

Kitenge

Non sembrava mancarle nulla, se non l’affetto di una madre che non aveva mai conosciuto. L’unica cosa che le veniva imposta, era di tagliarsi i capelli una volta al mese. Questo inizialmente non le pesava, ma diventando grande cominciò ad infastidirla. Perché le sue amiche potevano vantare particolarissime treccine, mentre lei era costretta a coprirsi con un kitenge. Un rettangolo di cotone, stampato a cera dalla trama scura su di uno sfondo chiaro. Il tessuto era piuttosto spesso e aveva una bordatura solo sul lato lungo, che amava mettere in evidenza come una specie di corona in grado di farla sentire meno insignificante. Il padre di una sua amica lo aveva portato a casa dopo un viaggio nelle terre dell’ovest e visto che la ragazzina non desiderava indossarlo, glielo donò ben volentieri. Con quella specie di fazzoletto non si sentiva certo più attraente, ma si vergognava meno del suo aspetto.

Un giorno decise di esprimere tutto il suo disappunto per quella presa di posizione della sua tutrice. Quel taglio prendeva sempre più spesso le sembianze di una violenza. Gli amici poi, non smettevano di infastidirla con i loro commenti indelicati, che si stavano arricchendo di dispetti. Il giorno in cui le fecero volare via il suo kitenge, corse a casa in lacrime pronta a scappare se non fosse stata accontentata. Camminare senza quella copertura era stato per lei come mostrarsi in pubblico senza alcun indumento. L’adolescenza era il periodo più appropriato per una sana ribellione.

Supplicò in tutti i modi la vecchia San di non tagliarle più i capelli. Disse di essere disposta a tutto, pur di poterli veder crescere come tutte le altre ragazze della sua età, ma lei fu irremovibile. Quando si rese conto che nulla avrebbe potuto convincerla, Stella giurò che piuttosto che subire un’altra volta quella violenza, sarebbe fuggita. Purtroppo, non bastarono le molte lacrime, i silenzi, le prese di posizione. Quando arrivò il momento del taglio, le forbici erano pronte sul tavolo e la vecchia San la stava aspettando. Stella si nascose in una buca che utilizzavano per tenere al fresco gli alimenti e si rifiutò di uscire senza smettere di supplicarla. L’anziana San appoggiò le forbici e le disse che non le avrebbe potuto tagliare i capelli con la forza, ma che non poteva più tenerla in casa se non lo avesse fatto.

Stella rimase a terra rannicchiata in quella buca dove non avrebbe mai pensato di poter nemmeno entrare, tenendosi le gambe fino a non sentirle più. Calò la notte. Anche il formicolio agli arti per quella scomoda posizione sembrava essere cessato. L’anziana tutrice riapparve con lo stesso sguardo minaccioso. Le disse che il tempo stava per scadere e doveva decidere in fretta. Si fece aiutare ad uscire. Indolenzita e priva di forze, Stella faticava a prendere la posizione eretta. Non aveva più lacrime da versare e si sentiva debole per non aver toccato cibo, ma dopo aver guardato con disprezzo la vecchia Sun, riuscì – senza nemmeno capire come – a ruzzolare fuori inciampando passo dopo passo senza curarsene.

Non aveva una meta, come tutti i folli, mossi solo dalla disperazione.  Si fermò quando le forze l’abbandonarono. In quell’istante fu colta da brividi. Non aveva preso nulla per coprirsi e la notte era piuttosto rigida. I denti stridevano l’uno contro l’altro come i piedi nudi e gelati che si cercavano pestandosi a vicenda. Era necessario trovare un riparo.

Si umiliò bussando alla porta di ogni persona del villaggio che conosceva, ma una dopo l’altra le dissero che non potevano ospitarla per un motivo o per un altro. Avvilita si fermò sotto un grande albero. La stanchezza e il freddo si unirono alla paura di essere assalita da qualche predatore notturno. Raggruppò alcune foglie e si nascose sotto di esse.

Il mattino seguente si svegliò al caldo. Ebbe l’impressione di aver solo sognato, ma una volta aperti gli occhi le scappò un grido, agghiacciante. I suoi capelli erano cresciuti così tanto da crearle una specie di coperta, dalla quale ora faticava a sciogliersi. Provò a divincolarsi, a spostarsi, ma erano troppo fitti e pesanti. Non riusciva a fare un solo passo senza rischiare di essere addirittura soffocata.

Si mise ad urlare e a chiedere perdono, a chiamare l’anziana San affinché venisse ad aiutarla. Quando ormai pensò di non avere più speranza sentì il tanto temuto rumore delle forbici che ora potevano essere la sua salvezza. Non vedeva il volto del suo salvatore, ma in cuor suo non faceva che ringraziarlo e spronarlo a fare in fretta.

Nonostante quelle forbici lavorassero incessantemente le parve che nulla fosse cambiato, anzi, si sentiva venir meno ogni minuto di più. A fatica prima di perdere i sensi riuscì a dire in un lieve sussurro: «Non riesco più a respirare…» la bocca era rimasta aperta, mentre i lunghi capelli la stavano soffocando.

Quando riaprì gli occhi, la vista era offuscata, e solo pian piano si accorse di trovarsi nella sua piccola capanna, mentre il viso familiare della sua tutrice la osservava con un cipiglio per nulla rassicurante.

«Dove sono? Cos’è accaduto?» chiese toccandosi il capo con le mani. Un asciugamano madido lo avvolgeva.

«Non lo togliere o capiterà anche di peggio.» le disse seria San indicando l’uscita «Ora ti mostrerò quello che è accaduto a causa della tua disubbidienza.»

Stella si mise seduta, e a causa di una vertigine, dovette farsi sostenere. Comprese che doveva essere rimasta a lungo incosciente. Timidamente si avvicinò ad una piccola finestrella e vide la terra arida, l’erba secca, solo polvere rossa ovunque, mentre il sole bruciante sembrava aver cotto tutto.

«Ora dobbiamo attendere la prossima luna piena prima di tagliarli nuovamente e speriamo che la situazione migliori presto.» L’anziana donna le spiegò che i suoi capelli crescevano e calavano con le fasi lunari. Se non li avesse tagliati quando la luna era piena, sarebbe stata in pericolo. «Grazie ai tuoi capelli questa valle desertica è rinata, ma senza di essi è destinata a morire.»

«Non posso essere io a fare la differenza. Sono solo una ragazza. Non può dare a me la colpa di tutto

«Esci, guarda con i tuoi occhi. Poi decidi cosa fare.» disse mettendosi a trafficare come se niente fosse tra ciotole e tegami, mentre il suo viso imperturbabile era diventato duro quanto la realtà che stava vivendo.

Una volta fuori dalla capanna vide scene raccapriccianti. Non le sembrava più il suo villaggio. Le persone erano disperate e nemmeno la riconoscevano. I bambini sporchi, dagli abiti consunti si trovavano a pochi passi dalle carcasse di animali morti di fame, ormai in fase avanzata di decomposizione. Solo le mosche sembravano danzare allegre in quello scempio. Uno spettacolo che la fece tornare indietro terrorizzata, rassegnata e piangente. Comprese che non aveva scelta. Quello era il suo destino, per il bene del suo popolo.

Con il tempo tutto tornò alla normalità e le persone accantonarono quel brutto periodo come un evento tragico, destinato a non ripetersi. La loro cultura li portava a non porsi troppe domande, ma a vivere il più possibile fiduciosamente nel presente.  Stella, era l’unica che non poteva farlo, in quanto sapeva quanto fosse importante il suo ruolo.

Con il tempo, si innamorò perdutamente di un giovane che ricambiava il suo sentimento, ma non era disposto a rimanere in quel luogo sperduto tutta la vita. Egli voleva infatti andare per il mondo e dal momento che Stella non poteva rivelare il suo segreto e nemmeno andarsene, si vide costretta a lasciarlo andare solo.

Più cresceva più le delusioni d’amore le rendevano il cuore duro e quando la vecchia San morì, si sentì tentata di abbandonare tutti. Il suo primo amore però tornò dal viaggio intorno al mondo e di nuovo il sentimento più antico e meraviglioso acquietò la sua sete di libertà.

Lui le raccontò le sue esperienze, le parlò di città enormi con strade e veicoli a motore. Gli parlò delle case in muratura, così differenti dalle loro capanne. Ella ascoltava incredula, come una bambina ascolta il proprio maestro raccontare una fiaba. Iniziò a fidarsi sempre più di lui. Nella speranza di essere capita e di non essere mai più lasciata, decise di confidargli il suo segreto. Purtroppo, la modernità aveva reso l’uomo scaltro e opportunista. Una volta scoperto che i suoi capelli possedevano strani poteri, gliene sottrasse alcune ciocche e scoprì che avevano la facoltà di guarire molte malattie. Ne approfittò per farsi pagare ingenti somme di denaro dai poveri ammalati e quando Stella scoprì quello che stava facendo, il dolore che provò nel cuore fu così grande, che i suoi capelli iniziarono a crescere più del dovuto fino a soffocarlo nel sonno.

L’uomo morì ed ella per il dolore e la vergogna si nascose nel Parco nazionale Kruger, la più grande riserva naturale del Sudafrica. Non si mostrò mai più in pubblico, ma alcuni giurano di aver visto i suoi capelli argentati brillare nelle notti di luna piena, prima di essere tagliati.

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CHIARA E LE OMBRE

Dal romanzo inedito “Le figlie del Sole” 

CHIARA E LE OMBRE

 

Chiara vive a Buenos Aires, la grande capitale argentina, a pochi passi dal cuore pulsante della città, ovvero Plaza de Mayo. E’ diventata una bambina molto speciale, nel momento in cui una piccolissima scheggia proveniente da un meteorite – staccatosi dal sole – le si era posato gentilmente al centro della fronte, all’insaputa della sua tata. Da quel momento ella fu in grado di vedere e sentire cose che adulti e coetanei non avrebbero mai creduto possibile.

Era ancora una bambina quando le si presentò davanti un compagno di scuola piuttosto serio. Avrebbe voluto contagiare anche lui con il dono del buon umore, che la metteva sempre al centro dell’attenzione di tutti, ma ogni volta che gli stava vicino il cuore le iniziava a battere fortissimo e la punta del suo nasino diventava fredda come un ghiacciolo, inibendola completamente. Finì per guardarlo solo da lontano. Ogni tanto si azzardava a salutarlo con la mano. Non sempre il bimbo ricambiava quel saluto. A volte aumentava il suo broncio serio per voltarsi altrove e lei ci rimaneva molto male, ma continuava a sperare che prima o poi lui l’avrebbe notata.

Una volta diventata più grandicella i suoi poteri aumentarono e poiché era anche piuttosto intelligente, comprese in fretta che non era il caso di parlare con nessuno di quello che vedeva e sentiva. Faceva davvero una grande fatica a trattenersi, soprattutto quando si trovava in compagnia di quel bambino triste, che le faceva sempre diventare il nasino freddo.

Un pomeriggio di primavera era seduta sulla panchina di un giardino nei pressi della scuola. Stava leggendo un libro, quando il ragazzino le sfrecciò a fianco, urlando dalla sua bellissima bicicletta rossa fiammante. Alzò le spalle e si rimise a leggere. Lui dispettoso le passò nuovamente vicino cantando ad alta voce. Chiara fece un lungo sospiro e riprese da dove era stata interrotta. Per la terza volta egli cercò di attirare la sua attenzione, questa volta con acrobazie pericolose. Chiara ormai stanca di quell’esibizione, si alzò di scatto intimandogli di smetterla. Fu tale la sorpresa del giovane, che cadde a terra ferendosi il ginocchio e un gomito. Ella corse da lui per aiutarlo, ma questi – orgoglioso – non volle il suo aiuto e le ordinò di andarsene. Lei ci rimase molto male. Lasciò improvvisamente la mano che gli aveva preso per aiutarlo e in quell’istante vide un’ombra nera – terribilmente brutta – toccarle il petto e nascondersi nuovamente dietro il giovane, che tornò cupo e malconcio verso casa. Mentre trascinava la sua bicicletta lo sentì rivolgerle alcuni nomignoli poco educati.

Offesa per quel comportamento, raccolse il suo libro, non senza accorgersi che qualcosa di brutto le era capitato. Ebbe l’impressione che quell’ombra le avesse portato via qualcosa dal cuore, perché lo sentiva dolorante. Si guardò bene allo specchio. Apparentemente non le mancava nulla. Eppure, il ghigno di quell’ombra e il dolore che le avevano procurato erano troppo reali per farla stare tranquilla.

Gli anni passarono. Lei si fece sempre più solitaria, quanto bella. Le presentarono un giovane proprietario di una ricca Estancia, un’azienda agricola e turistica, in una fertile e vasta prateria poco fuori città. Egli si innamorò di lei e le propose di sposarla. Chiara non conosceva l’amore e finì per cedere alle sue lusinghe. Lui la portò nella sua grande villa, dove non mancava proprio nulla, anche il paesaggio era meraviglioso. Adorava i cavalli e lì poteva cavalcare ogni giorno, eppure in lei stava crescendo un’incontenibile rabbia. Non riuscire a darsene una valida ragione la faceva entrare in collera anche con se stessa. Non poteva proprio accettare il suo comportamento incontentabile, anche perché il marito la riempiva di attenzioni e di amore.

Un giorno, notò nei propri occhi un’ombra scura. Guardò meglio e si accorse che aveva lo stesso ghigno che tanti anni prima aveva visto nascondersi dietro le spalle del giovane in bicicletta. Spaventata corse via dallo specchio e cominciò a riflettere meglio su ciò che era accaduto. Comprese che il tocco di quell’essere malefico, le aveva oscurato una parte dei suoi occhi, quella che andava diritta al cuore. Era quello il motivo per cui non riusciva a sentirsi felice! Quell’ombra le impediva di amare.

Ogni sera aveva l’abitudine di guardare fuori dalla sua finestra l’orizzonte, ai margini di un fitto bosco, oltre il quale si poteva intravedere il Río de la Plata. Sotto l’influsso di una splendente luna piena, fu attratta da un bagliore improvviso e intermittente. Quella luce era troppo invitante per resisterle. Senza farsi scorgere da nessuno, uscì per una cavalcata fino a giungere là, dove credette essere ancora presente il bagliore. Si trovò davanti un gaucho, con il suo cavallo. Riconobbe in lui, lo stesso giovane caduto tanto tempo prima dalla sua bicicletta, diventato semplicemente più grande. Per la paura, Chiara rimase pietrificata. In quel breve tempo in cui i loro occhi si incrociarono, ella sentì che la punta del suo naso si era raggelata, mentre il cuore batteva impazzito. Cercò di scendere da cavallo, ma per l’emozione fu maldestra e cadde a terra sporcandosi il volto. Egli le andò vicino per aiutarla. In quello stato però, non la riconobbe. Nel momento in cui si sfiorarono, apparve all’improvviso alle spalle dell’uomo l’orribile ombra mai dimenticata. Atterrita da quella visione cercò di allontanarsi dalle sue braccia, cercando di non farsi toccare. Senza rendersene conto però, durante quella breve quanto concitata fuga, un bottone della giacca dell’uomo le era scivolato in tasca.

Dopo quella sera, Chiara non volle più arrischiarsi ad uscire. Continuava a guardare notte dopo notte – soprattutto quando c’era la luna piena – oltre il boschetto, ma non vedeva mai nulla in grado di attirare la sua attenzione. Il desiderio di quell’uomo cresceva dentro di lei rendendo l’ombra del suo occhio sempre più evidente.

Le ci vollero molti giorni prima di accorgersi che aveva trattenuto qualcosa di molto prezioso, ovvero il bottone riflettente quella strana luce. Quando lo stringeva nel pugno – chiudendo gli occhi – poteva vederne il proprietario. Al pari di una sfera di cristallo, le permetteva di individuare dove si trovava e quello che stava facendo. Era diventato così consolante fermarsi e pensare a lui. Comprendeva che non era educato sbirciare nella vita di quell’uomo, ma non ne poteva davvero fare a meno, era più forte di lei. Quando la luna piena in cielo risplendeva beata e tutti dormivano, ella portava il bottone alla sua presenza e questi illuminava a giorno quanto le era accanto.

Quel bagliore non passò inosservato al diretto proprietario, il quale seguì la luce – come incantato – fino a giungere alla fattoria di Chiara, che lo invitò ad entrare. Mentre i loro occhi si incrociarono una fitta attraversò entrambi. Egli non si rese conto di chi aveva davanti, perché il resto del viso della fanciulla era rimasto in ombra. Il profumo del Mate – l’infuso tipico argentino – aveva aromatizzato l’ambiente al punto da ipnotizzarlo. Senza nemmeno rendersene conto si sentì improvvisamente più rilassato e affamato. Afferrò un raviolo di Empanadas che si trovava davanti a lui sul tavolo e le raccontò di aver sentito l’impulso di seguire una luce che poi, era stranamente svanita nel nulla.

Con i suoi lunghi capelli Chiara cercava di coprirsi il più possibile il viso e lui – che non la vedeva da anni, non riuscì a riconoscerla. Il gaucho le parlò del bottone scomparso da quella giacca, che era appartenuta al padre. L’unico ricordo ancora tangibile rimastogli. Ella fece finta di non saperne nulla. Restituirlo avrebbe voluto dire perderlo per sempre e per quanto ciò la facesse sentire in colpa, non riuscì a svelare il suo segreto. Stava per lasciarlo andare con una stretta di mano, che non si rese nemmeno conto di aver allungato, quand’ecco l’ombra nera apparire nuovamente minacciosa, come infastidita da quel tocco. Chiara fece un salto indietro e il suo viso non più coperto venne riconosciuto. In quell’istante altre due ombre nere comparvero dietro le spalle dell’uomo. Chiara iniziò a gridare, mentre lui non si capacitava del perché lo stesse facendo. Più si avvicinava più lei lo scacciava urlando.

Vedendo la sua agitazione, egli decise di allontanarsi e mentre la vedeva raggomitolarsi in un angolo, sentiva che gli era impossibile abbandonarla. Chiara lo guardò sedersi a terra muto, in attesa di una spiegazione. Si sarebbe aspettata una fuga, invece era ancora lì, davanti a lei. Rassicurata da quel comportamento si decise a tirare fuori dalla tasca il bottone e aprendo la mano glielo mostrò sotto un raggio di luna che filtrava appena dalla finestra.

Ancora una volta si compì la magia. Il bottone illuminò l’ambiente a giorno. Non ebbero più dubbi sulla loro identità, quando sentirono i loro cuori accendersi. Anche le ombre però riapparvero, spaventate da un nuovo timido tocco. Lei decise di confidargli il suo segreto. Gli disse che poteva vedere cose che altri non potevano vedere e che dietro di lui vi erano tre ombre nere. Lui stentò a crederle, ma lei si avvicinò mostrando l’ombra nel suo occhio. Quando lui la vide retrocesse infastidito, ma Chiara aveva pronta la soluzione per entrambi.

«Permettimi di parlare con quelle ombre e forse scopriremo chi sono e cosa vogliono.»

Quella dal ghigno ironico, si chiamava Presunzione ed era stata la prima ad allontanarli. La seconda dai denti aguzzi come una tagliola era Rabbia, mentre la terza, dagli occhi color vermiglio, si chiamava Dolore.

Lui non si capacitava di come aveva permesso a quelle presenze di stargli accanto e loro non lo volevano rivelare, ma il problema più grande era come cacciarle via, dal momento che non sembravano intenzionate a lasciarlo. Mentre rifletteva sul da farsi, Chiara sentì il bottone farle male nel pugno stretto. Aprì la mano e il raggio di luna colpendo la pietra – che vi stava sopra – illuminò la stanza, facendo scappare l’ultimo dei tre demoni.

Osservando meglio l’oggetto scoprì una piccola scritta e lesse forte:

«AMORE! Ma certo, è chiaro! L’Amore vince il Dolore! Perché per amore si può sopportare e rischiare, come stiamo facendo noi due ora. Guardiamo cosa c’è scritto negli altri due bottoni, presto!»

L’uomo prese il secondo bottone tra le mani, ma non riusciva a leggervi nulla, così decise di strapparlo dalla giacca per allungarlo a lei, nella speranza che riuscisse a trovare un’altra parola utile e così fu. Una volta nelle sue mani, Chiara lesse forte:

«“PACE!” Solo la pace può distruggere la guerra, l’odio, il risentimento, il rancore, e la pace viene dal perdono.»

Il gaucho cominciò a piangere, perché aveva perso i genitori da piccolo e il rancore per essere rimasto solo non lo aveva mai abbandonato. Quelle lacrime scivolando sulle sue guance, cominciarono a lavare anche l’ombra nera che si chiamava Rabbia e gli si era posizionata in grembo. La commozione che Chiara provò per lui, lavò via anche il suo risentimento e con esso, una parte del velo che copriva il suo occhio, senza che se ne rendesse conto.

Nel frattempo, passando da un lato all’altro delle spalle dell’uomo, l’ultima ombra smaniava col desiderio implicito di non lasciarlo.

«Presto stacca anche l’altro bottone, guardiamo cosa vi sta scritto sotto!» gli disse Chiara allungando le forbici. «UMILTA’!»

Al contrario di Chiara, l’uomo non fu colto da entusiasmo, anzi si rabbuiò dando maggior soddisfazione alla sua ombra. Alzatosi in piedi stava per andarsene quando si sentì domandare:

«Ma come? Ora che sai cosa serve, non vuoi liberarti anche di questa?» quasi in preda alla disperazione cercò di trattenerlo «Se non lo fai tu, come potrò liberarmene io

Dopo quella frase, l’ultimo velo cadde dal suo occhio. L’ombra aveva ceduto il posto alla luce nel momento in cui lei aveva riconosciuto di non poter far nulla con le sue sole forze. Lo guardò invitandolo a fare altrettanto, ma l’uomo alzò tristemente le spalle e se ne andò via, mentre quella figura oscura gli saltellava da lato a lato baldanzosa.

Il gaucho era scomparso alla sua vista da qualche minuto, quando Chiara si ricordò di avere ancora il suo bottone. Corse alla terrazza aprì il pugno. Guardò per un’ultima volta il bottone che emanava luci intermittenti. Richiusa la mano lo lanciò lontano. La pietra liberò nell’aria danzanti riflessi colorati, che poi caddero in un imprecisato posto, prima di spegnersi definitivamente.

«Spero tu possa trovare il tuo bottone e con esso, la forza di liberarti dalla tua ombra.» disse a bassa voce Chiara.

Chiuse seraficamente la finestra. Si accoccolò sotto la coperta e appena appoggiò la testa sul cuscino, udì distintamente una voce rispondere: GrazieEra la parola necessaria affinché anche lui si liberasse della sua ombra.

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LA PROFEZIA DEL NONO MAGUS

Dal romanzo inedito “Le figlie del Sole” 

LA PROFEZIA DEL NONO MAGUS 

Un giorno qualunque, il Prof. Magus stava studiando le sue carte quando, venne folgorato da un’illuminazione. Corse al telescopio e poi di nuovo alle mappe celesti. Prese le squadre, il compasso e ancora avanti e indietro da un posto all’altro della biblioteca fino ad urlare il nome del suo aiutante, lungo l’interminabile scalone che lo separava dall’esterno.

«Pluto! Pluto! Plutone!» cominciò ad urlare l’astrologo «Dove sei? Presto vieni qui!»

Affannato un ragazzo di circa quattordici anni probabilmente affetto da nanismo, con il fiatone e un secchio pieno d’acqua in mano, si fermò cadendo in ginocchio davanti a lui.

«Cosa ci fai con quel secchio in mano? E perché ci hai messo tanto?» chiese piuttosto alterato il professore.

«Stavo lavando le scale e ho fatto fatica a salire. Il secchio è piuttosto pesante.»

Il povero Magus alzò gli occhi al cielo.

«Non potevi lasciarlo dov’era?»

«Non ci avevo pensato. Ora lo porto giù e torno

«Fermo lì. Lascia stare tutto! E’ un momento troppo importante.» rispose investendolo con il suo entusiasmo «Sta succedendo una cosa incredibile!» Con una mano lo invitò a seguirlo al telescopio, per poi avvicinarsi a lui così tanto che il povero Plutone sgranò gli occhi preoccupato «Ricordi cosa dissi riguardo la profezia del Nono Magus? Quello che da secoli stavamo aspettando, sta per compiersi. I tre giorni di buio stanno per arrivare e dobbiamo fare molta attenzione a dove cadrà il Crystal Ignis. Solo il meteorite di fuoco potrà salvarci dalla distruzione totale. Lui e le cinque prescelte.» Parlava in maniera concitata con una palese soddisfazione.

«Io però non ho ancora capito bene come faremo a trovarle?» lo apostrofò incredulo il suo ascoltatore «Non sarebbe più semplice prendere noi la pietra? A che ci servono delle donne?»

«Certe volte ho come l’impressione, che tu sia un caso perso…» rispose scuotendo la testa «Come potrai sostituirmi?» Si sedette sfiduciato e stanco picchiettandosi le sopracciglia con i polpastrelli. Per lui, il metodo più immediato per rilassarsi. Acquietato da quel gesto consolatorio alzò lo sguardo e proseguì «Non sono donne comuni. Sono bambine che grazie ai frammenti di questa pietra avranno dei poteri speciali, tutti differenti e fondamentali per far funzionare il Crystal Ignis. Loro sono la chiave. Potranno prenderlo in mano senza danno e scatenare il loro potere fino a sconfiggere il buio. Credo di avertelo detto almeno un milione di volte!»

Il ragazzino non sembrava molto convinto.

«Siamo solo due e dobbiamo seguire la traiettoria di una cometa e di cinque schegge della stessa con queste attrezzature che cadono a pezzi come la nostra torre? … non ce la faremo mai!» obbiettò Pluto e preso il suo secchio stava per scendere nuovamente le scale.

«La scienza ci verrà in aiuto.» si affrettò a controbattere il Prof. Magus posizionandosi davanti a lui «Registreremo il fenomeno e attraverso i calcoli, troveremo il punto esatto in cui cadranno. Non possiamo affidarci solo alla profezia, dobbiamo fare la nostra parte. Siamo anche noi dei prescelti. Il destino dell’umanità è nelle nostre mani!» Più che mai eccitato lo aveva afferrato per la felpa, come per scuoterlo dal suo torpore.

Se è davvero così… forse dovrei provare a terminare il mio gioco on line invece di lavare i pavimenti, perché sarà davvero la fine” pensò Pluto senza aver il coraggio di condividere il pensiero appena espresso nella sua mente. Per quanto amasse guardare il cielo, non credeva di essere in grado di leggere le stelle, non credeva più nemmeno alla possibilità da parte degli uomini di interpretare i movimenti dei pianeti, anche se attribuiva al professore una buona dose di volontà e determinazione nel provarci. Credere in un futuro catastrofico, era per lui come pensare che un giorno avrebbe visto un unicorno volare. Cresciuto tranquillo su quella montagna dall’età di dieci anni, con quell’esaltato professore di astronomia, che sembrava eccitarsi un po’ troppo davanti ad una stella cadente, mentre lui dal telescopio non riusciva a vedere la metà di quello che gli suggeriva, era pretendere troppo. Voleva continuare la sua esistenza senza eccessive emozioni.

«Tranquillo Prof., non vi agitate o dovrò portarvi le pillole per la pressione! Ce la faremo a sopravvivere tutti. Le ragazze – a quanto dice – sembrano in gamba e con i super poteri troveranno la pietra e ci salveranno. Se questa è la profezia, per quale motivo preoccuparsi? Per giunta, cosa c’entriamo noi?»

L’astronomo comprese che non poteva fare affidamento su quel giovane inesperto e poco incline a comprendere la sua scienza. Come pretendere che capisse i suoi affanni? Affondò definitivamente rassegnato la testa tra le sue carte e continuò i suoi studi in attesa del grande evento.

 

Ecco, cari lettori, come inizia la nostra storia. Come avrete capito la missione non è semplice, ma di certo questi due risoluti personaggi ce la metteranno tutta. Prima di vedere come però, voglio parlarvi di queste cinque prescelte dall’astro più luminoso della nostra galassia e di come l’incontro con questa fatidica scheggia le renderà tutte sorelle, tutte speciali e straordinariamente importanti per la salvezza del nostro pianeta; riservando conseguenze inimmaginabili anche per coloro che avranno la fortuna di conoscerle.

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NONO CAPITOLO di ERASMO II

Dalla seconda serie “ERASMO OGNIBENE E LA SUA FAMIGLIA SPECIALE”

Tutti per uno, uno per tutti

Il nostro gruppo sembrava essersi di nuovo affiatato. Questa missione che avevamo in comune ci stava facendo avvicinare e divertire di nuovo, come all’inizio dell’anno. E non è tutto, il piano C sembrava funzionare davvero.

Quando la biondina si vide rifiutare la merenda da Matteo, ci rimase malissimo e andò ad offrirla ad Attilio, proprio come avevamo pianificato. Forse inizialmente voleva solo farlo ingelosire, ma alla fine scoprì di essere più contenta così.

Purtroppo però, fece una cattiva pubblicità con le altre femmine riguardo a Matteo, che vide calare il numero delle merendine sul suo banco e si affrettò a chiedere un risarcimento danni ad Attilio, che per qualche tempo acconsentì a dargli la sua di merenda, tanto la biondine gliene portava una squisita ogni giorno. Poi arrivò un’altra femmina nel nostro gruppo una certa brunetta con i capelli corti corti, quasi da maschio.

Violetta che corre velocissima con il pallone.

Alla fine non riuscivamo mai a stare tutti insieme perché loro avevano sempre le loro ragazze, così le chiamavano, mentre io mi sentivo a disagio da solo.

Cercai di attaccare discorso con la femmina dalle codine rosse che sembrava non essere più interessata a me. Ma lo feci solo, dopo che vidi come era brava a correre dietro al pallone. Nessun bambino la voleva perché era una femmina, ma io che avevo capito che non era come tutte le altre, dissi che dovevamo darle una possibilità.

Così abbiamo fatto una gara. Io sono molto bravo a correre dietro al pallone, ma Matteo è bravissimo a fare goal, così le ho proposto di fare una gara con lui, per vedere chi ne faceva di più e nonostante abbia vinto Matteo, lei ne ha fatti davvero tanti.

A quel punto, tutti hanno accettato di farla entrare nella squadra di pallone e io ero molto felice nel vederla contenta. Ora avevamo tutti una ragazza, ma questo ci portava a dover stare troppo tempo con loro, così ho indetto una riunione con Attilio e Matteo.

«Sei sicuro che sia una buona idea far entrare nel nostro gruppo le femmine?» chiese Matteo.

«Non possiamo fare diversamente, tanto sono sempre attaccate a noi.» risposi rassegnato.

«A me non dispiace affatto quando mi sta vicino.» disse sospirando Attilio.

«E immagino nemmeno quando ti porta la mia merenda.» aggiunse Matteo.

«Non è più la tua merenda e nemmeno la tua ragazza, ma ora che siamo di nuovo tutti insieme, se ci sono anche loro possiamo fare le cose senza dividerci. Loro staranno a fare le loro chiacchierate e noi le nostre. Secondo me potrebbe funzionare.» disse Attilio.

Abbiamo votato e alla fine anche le femmine sono state ammesse come supporto dei Tre moschettieri, così ci siamo chiamati. A loro andava bene lo stesso perché potevano entrare nella nostra tenda dei maschi.

Guardando il nostro gruppo così numeroso mi sono reso conto che siamo diventati grandi. Attilio si è riempito di coraggio con questa storia dell’innamoramento. Sembra molto più sicuro ed è migliorato anche a scuola, perché vuole fare bella figura.

Matteo non fa più lo sciocco con le femmine, perché altrimenti la sua brunetta lo pizzica con la punta della matita.

Anch’io mi sento più grande. Il mal di pancia è passato e ora in compagnia di Violetta mi sento semplicemente bene. Amo guardare i suoi grandi occhi color nocciola e il suo sorriso mi fa dimenticare tutti i problemi, anche quelli di matematica, infatti non devo assolutamente pensare a lei quando c’è il compito in classe.

Le femmine hanno davvero dei poteri incredibili, ma io non lo confesserò mai a nessuno questo segreto, altrimenti chi le trattiene più e chissà cosa potrebbero farci… magari ci addormentano tutti come sa fare mamma o ci fanno ammalare di mal di pancia ogni volta che vogliono… meglio non dire niente e fare sempre molta, molta attenzione.

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OTTAVO CAPITOLO di ERASMO II

Dalla seconda serie “ERASMO OGNIBENE E LA SUA FAMIGLIA SPECIALE”

Una strana malattia

«Erasmo alzati, è ora di andare a scuola. Come mai sei ancora a letto?»

«Non mi sento bene mamma… devo avere la febbre.»

Mia madre mi provò la temperatura, ma sembrava normale. Allora le dissi che avevo mal di pancia. Ma non sembrò convinta nemmeno davanti alla mia migliore interpretazione di un bambino malato e sofferente.

«Avanti Erasmo, dimmi la verità. E’ sempre a causa di quella bambina

Mi ripresi subito cercando di farle capire che davvero non c’era nessuna femmina nella mia vita, e l’unico ad essere innamorato era Attilio, ma non mi volle credere.

«Allora alzati e preparati per andare a scuola. Oggi devo portare Alice dalla pediatra per la solita visita di controllo e non posso lasciarti a casa da solo, a meno che tu non voglia venire con noi

La migliore interpretazione di un bambino malato e sofferente di Erasmo

Quando disse così mi ripresi subito e corsi al bagno. Non avevo nessuna voglia di andare dalla dottoressa dei bambini piccoli, io ero già grande e come mio fratello avrei dovuto avere un maschio per dottore. Dopo tutto sono un uomo e non mi va di essere visitato da una femmina. Ogni volta mi mette un bastoncino in bocca per vedermi la gola che mi fa venire da vomitare e poi mi controlla le orecchie, mi spinge la pancia, … “Meglio andare a scuola e rischiare di vedere la bambina che non la smette mai di parlare.” Mi dissi rassegnato.

Mentre facevo colazione mi consultai con mia sorella che sul seggiolone giocava con un biscotto mezzo inzuppato nel latte.

«Alice… perché le femmine non sono tutte come te? Tu trovi sempre il modo di divertirti, non dici mai niente, urli, sì ogni tanto, ma solo per farti capire e quando ce n’è bisogno. E poi sono sicuro che quella tipa non sa nemmeno giocare a calcio, mentre tu diventerai bravissima da grande e giocherai con me, visto che Ilario sembra che non ne abbia più tanta voglia, ora che è alle medie.»

Lei mi sorrise e mi allungò il suo biscottino smagiucchiato. Io declinai il suo regalo e lei facendo una faccia triste si mise a piangere… allora ho dovuto prenderlo per farla smettere, altrimenti la mamma si sarebbe arrabbiata con me. E infatti ricominciò a sorridere divertita. Senza volere mi aveva dimostrato che le femmine non accettano i rifiuti. Anche questa era una lezione che poteva tornarmi utile.

Una volta a scuola cercai di parlare subito ai miei amici.

Alice mentre offre il suo biscottino ad Erasmo

«Dobbiamo rimanere uniti o le femmine conquisteranno il pianeta facendo venire a tutti il mal di pancia. Secondo me credono di essere più furbe di noi, ma ho scoperto che hanno molti punti deboli, per esempio non sopportano di essere rifiutate!» dissi loro.

«Cosa vuoi dire?» mi domandò Matteo.

«Che se una femmina ti offre qualcosa e tu lo rifiuti se la prenderà tantissimo, quindi tu Matteo se la biondina ti offre la merenda non devi accettarla per nessun motivo.» gli spiegai.

«Vuoi dire che le mangi ancora la sua merenda?» Chiese Attilio facendosi avanti con fare minaccioso.

«E’ lei che me la offre e sono buonissime le sue focacce e tutto quello che fa sua madre. Ve l’ho già detto che è una fornaia?» si giustificò Matteo.

«Non ha importanza quanto sia brava. Se davvero non ti importa nulla di lei devi lasciarla ad Attilio. Dopo tutto questi erano i patti e tra amici non ci si porta via la femmina. E’ un codice d’onore che tutti gli uomini seri rispettano. Lo dice sempre anche mio fratello.» Avevo un tono davvero serio e abbassando la testa fece cenno di aver capito. Suo malgrado avrebbe accettato anche quella rinuncia per l’amicizia.

«E io? Devo mangiarla io?» chiese contento Attilio.

«Solo se te la offre, ma tu devi smetterla di fare il suo servo. Basta portarle lo zaino e occuparti di tutti i suoi capricci.»

«Ma ormai mi sono abituato.» si dispiacque Attilio.

«Il problema è che anche lei si è abituata e di sicuro se smetterai sentirà la tua mancanza. Non potendo più dare la merenda a Matteo che non la vuole, magari la darà a te. Sperando che ricominci a fare quello che facevi prima. Ma non dovrai più essere come prima, dovrai diventare un po’ più duro, solo un po’ più come Matteo, ma non troppo.»

«Non mi sembra molto facile, devo essere servizievole, ma non troppo, gentile, ma duro. Forse conquistare una femmina non fa per me.»

«Non ti abbattere amico. Nella vita le cose difficili sono sempre le migliori e poi ti aiuterò io e anche Erasmo, ti aiuteremo entrambi. Vedrai che ce la farai.» gli disse Matteo sorridendo.

Io ero molto commosso. Finalmente vedevo dei risultati. Eravamo tutti uniti gli uni per gli altri come i tre moschettieri. Il piano C sarebbe stato un successo.

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SETTIMO CAPITOLO di ERASMO II

Dalla seconda serie “ERASMO OGNIBENE E LA SUA FAMIGLIA SPECIALE”

Le femmine non sono tutte uguali

Quel giorno a scuola non ebbi il coraggio di dire ad Attilio di smetterla di servire la biondina in tutti i suoi capricci, perché vedevo, che nonostante lei fosse così indifferente, a lui non dispiaceva, anzi era contento di farle da servo. Anche Matteo era peggiorato, infatti non si limitava più a fare l’antipatico con le ragazze, ma lo faceva anche con me.

Durante l’intervallo mi misi a sedere sul muretto vicino alla fontanella. Guardavo le formiche facendo il broncio, quando alle mie spalle ho sentito la voce di una femmina. Mi sono voltato arrabbiato, era tutta colpa loro se mi trovavo in quella situazione. Vidi una bambina con i capelli rossi e due buffe codine, la riconobbi subito. Questa l’avevo notata altre volte, perché sembrava diversa dalle altre.

«Ciao, che fai? Conti le formiche?»

Violetta raggiunge Erasmo mentre conta le formiche

Cominciai a balbettare. Lei mi guardò fisso e le scappò una risatina, che mi dette piuttosto fastidio. Io ero lì, davanti a lei con la bocca aperta, non riuscivo a parlare e lei mi stava prendendo in giro. Feci la faccia da arrabbiato. Nella speranza che si prendesse paura e andasse via, ma continuava a guardarmi e io mi sentivo sempre più imbarazzato.

Poi con un sorriso mi ha salutato prima di correre verso le sue amiche. Mi sentivo tutto scombussolato. La pancia mi stava brontolando come quando torno da un allenamento di pallone e ho una fame esagerata. Poi ho sentito che dovevo andare al bagno.

Mi spaventai pensando di essere stato contagiato. Io proprio non volevo innamorarmi, per essere rifiutato come Attilio o antipatico come Matteo o peggio ancora un burattino come Ilario. Ero l’unico rimasto ancora normale e non avrei mai permesso ad una femmina di stravolgermi l’esistenza.

Il giorno dopo mi misi a sedere nello stesso posto. In realtà speravo di rivederla per dimostrarle che ero un duro e che non mi facevo prendere in giro da nessuno, tantomeno da una femmina. Ma non si fece vedere. Magari era rimasta a casa anche lei con il mal di pancia, pensai.

Ricominciai ad immergermi nei miei pensieri disturbando qualche formica, fino a che non vidi una lucertola. E stavo ancora cercando di prenderla quando sentii nuovamente quella voce.

«Ciao, oggi giochi con le lucertole? Tu sei bravo a prenderle? Lo sai che se le prendi per la coda, loro la lasciano e se ne scappano senza? E lo sai che la coda continua a muoversi lo stesso anche senza il corpo

In quel momento rimpiansi di non essermi fermato a disturbare le formiche, perché mi stava facendo una serie di domande a raffica, senza nemmeno darmi il tempo di rispondere. Certo che le femmine sono proprio insistenti, mi dissi.

La lucertola che non si è fatta prendere da Erasmo

«Ma tu non parli mai?» mi chiese continuando a parlare alla velocità della luce. «Io mi chiamo Viola, ma mi chiamano tutti Violetta? Tu preferisci il nome Viola o Violetta? Forse ti sto facendo troppe domande, me lo dicono tutti che parlo molto e anche molto velocemente, a te dà fastidio? Sai che sei carino? Però non mi hai ancora detto come ti chiami

«Erasmo. Io mi chiamo Erasmo Ognibene.» mi affrettai a dirle prima che ricominciasse a parlare.

«Non conosco nessuno con questo nome. Ma mi piace. Ci vediamo domani? Ciao

Io volevo dirle che non avevo mai conosciuto nessuno in grado di parlare così velocemente, ma non ne ebbi il tempo, perché in un baleno era sparita. Non avevo capito bene cosa fosse successo, ma di nuovo dovetti correre al bagno per il forte mal di pancia. Forse avevo preso l’influenza o forse Attilio mi aveva contagiato. Ora al primo banco eravamo in due a sospirare, a guardare fuori dalla finestra e ad essere ripresi dalla maestra perché non prestavamo sufficiente attenzione durante la lezione, ma quegli occhi grandi e quel sorriso, non riuscivo proprio a togliermeli dalla testa.

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SESTO CAPITOLO di ERASMO II

Dalla seconda serie “ERASMO OGNIBENE E LA SUA FAMIGLIA SPECIALE”

I consigli di mamma Olivia

Chiedere consigli d’amore a mia madre mi faceva sentire terribilmente in imbarazzo. Pensai da principio che le cose si sarebbero risolte da sole, ma non fu così. Più il tempo passava e più la situazione peggiorava, anche tra noi.

Matteo Goldoni inseguito dalla biondina

Matteo cominciò a trovarsi bene nei panni dello schiavista. Faceva fare di tutto a quella biondina, è arrivato addirittura a farsi fare i compiti di matematica e a farsi portare una merenda tutti i giorni. Questa invece di arrabbiarsi lo guardava come si guarda la partita di pallone la sera dei mondiali.

Attilio per la depressione lo avevano portato dal consulente scolastico, ma non era molto bravo a parlare dei suoi problemi personali con gli estranei e invece di migliorare era peggiorato, non parlando più nemmeno con me.

Una volta ho visto in televisione un tale che ipnotizzava la gente. Era bravissimo a farle fare quello che voleva. E’ riuscito a trasformare anche un uomo in una gallina. Proprio quello che serviva a noi, qualcuno che ipnotizzasse la biondina per farla innamorare di Attilio. O meglio ancora, che riuscisse a disinnamorare Attilio. Peccato non conoscessi nessuno con quel potere, di certo poteva tornarmi molto utile.

Vista la gravità della situazione pensai che l’unica arma rimastami fosse mia madre. Quella sera vedendomi piuttosto pensieroso, mi venne vicino. La sua voce dolce e le sue carezze mi ricordarono che aveva il dono di addormentare e mi spostai subito impaurito…

«Erasmo, tesoro, ti vedo alquanto nervoso ultimamente, mi spieghi cosa ti è successo

«E’ che abbiamo litigato, io Matteo Goldoni e Attilio Semprini. Eravamo sempre insieme, ma ora che Attilio si è innamorato di una femmina che si è innamorata di Matteo, litighiamo sempre.»

«Addirittura innamorato. Attilio

«Sì… Inizialmente gli avevo suggerito di fare come Ilario, che mostra i muscoli e la mezza faccia da duro, ma non ha muscoli e non è nemmeno capace di fare il duro. Poi ho chiesto anche a papà che mi ha detto di come era innamorato della zia, ma poi ti ha fatto innamorare…»

Erasmo e mamma Olivia

«Cosa, cosa? Lui mi ha fatto innamorare

«Si papà mi ha detto che è diventato antipatico apposta alla zia, così poi lei lo ha lasciato a te che con i suoi complimenti, ti eri innamorata di lui.»

«Ma senti un po’ che bella storia, peccato che io non la ricordi affatto così. Mi sa che io e papà dovremo fare due chiacchiere. Comunque se volete conquistare una donna non bastano le smancerie. E a volte essere troppo servizievoli fa l’effetto contrario.»

«Se mi dici così, vuol dire che questa biondina è proprio il contrario, come dici tu. Perché si è attaccata ancora di più a Matteo che fa l’antipatico, mentre Attilio che la serve in tutto e per tutto, non lo guarda nemmeno.»

«Le donne non sono così semplici come può averti detto tuo padre. Lui di donne non se ne intende, te lo dico io. E perché tu lo sappia, sono io ad averlo fatto innamorare di me. La sera che è venuto a casa nostra facevo la sostenuta, ma ho visto come mi guardava e avevo capito subito che era interessato più a me che a mia sorella

Rimasi un tantino confuso.

«Non è che ci ho capito molto. Io vorrei solo sapere come far innamorare questa femmina di Attilio, così torniamo tutti amici come prima.»

«Allora, se hai detto che ha già adottato la tecnica dei complimenti, che è stato più che mai servizievole con lei e non ha funzionato, allora ora dovrebbe smettere proprio di fare tutto questo e fingere che non esista. Solo così potrà sentire la sua mancanza e accorgersi che non è più vicino a lei. Se nemmeno così funziona, mi spiace, ma credo non ci sia proprio nulla da fare per il tuo amico

Il ragionamento di mamma non faceva una piega. Quando ti sei abituato a qualcosa se poi te la tolgono ci rimani male. Se in questo periodo di tempo questa biondina ha dato per scontato che Attilio le facesse sempre tutto, anche i compiti che poi passava a Matteo, quando vedrà che non è più così disponibile, potrebbe essere lei a cercarlo. E Matteo cosa dovrebbe fare per allontanarla? Cambiare anche lui e tonare come prima, oppure … mi sentivo la testa scoppiare.

Mi misi a letto e decisi di dormirci su.

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QUINTO CAPITOLO di ERASMO II

Dalla seconda serie “ERASMO OGNIBENE E LA SUA FAMIGLIA SPECIALE”

Il piano B

Mi trovai l’indomani mattina davanti al cancello della scuola con Matteo e Attilio imbronciati. Mentre l’uno dava le spalle all’altro, io mi sforzai di far capire bene loro, quale fosse il mio piano.

«Adesso basta. Sappiamo bene cosa ci ha fatto litigare, ed è ora di finirla. Ho parlato con mio padre e lui è un vero esperto.» dissi deciso ad entrambi.

«Hai detto lo stesso di tuo fratello e io mi sono quasi preso una nota.» replicò Attilio.

«Se tuo padre ne sa quanto te, siamo a posto.» disse invece Matteo.

«Ma no, vi garantisco che lui è stato molto bravo a conquistare mia madre. Mi ha spiegato tutto. Per esempio, ho capito perché quella femmina si è attaccata come una cozza a Matteo. E’ chiaro, le ha fatto i complimenti per le scarpe.»

«Dovevo pur attaccare discorso in qualche modo.» si giustificò lui.

Attilio Semprini, Matteo Goldoni ed Erasmo Ognibene, che decidono il piano B, nel cortile della scuola.

«Si, ma se gli fai dei complimenti alle femmine, queste si innamorano.» Non avevo nemmeno finito di dire quell’ultima parola, che Attilio si è scagliato contro Matteo dicendo che lo aveva fatto apposta. E io che volevo che facessero pace. «Fermatevi vi prego. So come risolvere la situazione. Datemi ascolto.»

A quel punto si fermarono, anche se si erano sporcati tutti dopo essersi rotolati per terra nel tentativo di darsele di santa ragione.

«Ascoltatemi bene. Tu Matteo dovrai cercare di diventare il più antipatico possibile. Puoi provare facendo dei rutti per esempio o delle puzzette in sua presenza.»

«Stai scherzando, spero? Se mi metto a fare quelle cose, nessuno vorrà più starmi vicino. Non ci penso proprio.» rispose Matteo.

«Io ti consiglio di trovare presto un altro metodo, perché se non la pianti di fare il filo alla mia ragazza te la vedrai con me.» rispose carico di coraggio Attilio. Non lo avevo mai visto così convinto. Mi aveva spaventato e credo che anche Matteo, abbia capito che non scherzava, perché si è limitato a dire che avrebbe fatto del suo meglio per risultare sgradevole a quella femmina. Non avevo idea di cosa volesse dire, ma ero comunque un buon inizio.

«Però non è sufficiente, anche tu Attilio dovrai darti da fare per risultarle simpatico. Potresti per esempio offrirti di portarle lo zaino in classe o di accompagnarla a casa.» suggerii. Il fatto di essere in competizione con Matteo gli aveva procurato una certa sicurezza e per la prima volta lo vidi convinto e deciso a comportarsi da gentiluomo.

Attilio Semprini si porta due zaini, ma sembra comunque contento.

Rimaneva il fatto che fino a che non lo avessi visto con i miei occhi non ci potevo credere. Era sempre stato tanto timido che faticavo a pensare che potesse prendere l’iniziativa con quella bambina. Incrociai le dita dietro la schiena mentre mi scappava da ridere pensando a come avrebbe fatto.

Per tutta la giornata si impegnarono molto. Ho visto Matteo comportarsi proprio male con la biondina. Quasi non la guardava, non le rispondeva con il suo solito modo garbato. Invece di rispondere a lei si rivolgeva ad altre compagne. Si stava davvero sforzando molto di risultare antipatico, perché non sembrava per nulla in difficoltà.

Al contrario Attilio si proponeva di portarle i fogli quando li finiva, di farle la punta alla matita, di offrirle caramelle, le regalava sorrisi smielati, ma invece di vederla interessata a lui, mi sembrava si stesse spazientendo sempre di più.

Quando è finita la scuola Attilio portava lo zaino della biondina e lei quello di Matteo. Sembrava che tutti quegli sforzi avessero addirittura procurato l’effetto opposto. Più Matteo faceva il duro, più lei si sentiva portata a stargli appresso…! Più Attilio era servizievole e più lei sembrava indifferente.

Io le femmine continuavo a non capirle. Era tutto così chiaro. Perché non funzionava quel piano? Proprio non me lo spiegavo. Dovevo al più presto consultarmi con mamma…

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QUARTO CAPITOLO di ERASMO II

Dalla seconda serie “ERASMO OGNIBENE E LA SUA FAMIGLIA SPECIALE”

Papà Ulisse il grande stratega

Dopo essere rimasto in infermeria quasi un’ora per accertamenti, avevo perso la lezione di storia e Attilio non ha nemmeno voluto darmi i suoi appunti, tanto era in collera con me. A volte ad aiutare gli amici si rischia di fare più danni. Non potevo però continuare a vederlo così sofferente, quindi ho chiesto al più esperto della famiglia, ovvero a mio padre, come fare per aiutarlo.

«Papa?»

«Dimmi Erasmo.» mi rispose mentre stava rovistando nella credenza. Io sapevo che stava cercando le patatine che la mamma gli aveva nascosto per via della dieta.

«Tu sai come conquistare una femmina?»

Mio padre mi guardò alzando le sopracciglia.

«Erasmo… da quando ti sei innamorato

«Oh non preoccuparti non sono io che ho bisogno di consigli, ma il mio compagno di banco: Attilio Semprini. Per colpa di una femmina bionda e lentigginosa, lui non capisce più niente. Ha perfino litigato con Matteo Goldoni, il mio amico. Così non riusciamo più a giocare tutti insieme. Devi fare qualcosa papà. Tu come hai conquistato la mamma?»

Vidi mio padre preoccupato per la prima volta.

Le patatine che la mamma di Erasmo nasconde per via della dieta di Papà Ulisse

«Ecco, è proprio in questi momenti che mi ci vorrebbero delle patatine per raccogliere meglio le idee.» disse grattandosi la testa.

Io sapevo dove le aveva messe la mamma e visto che mi serviva tutta la sua astuzia ho pensato di fare la spia, ma era per una buona causa. Dalla felicità mi dette il cinque con la mano e mi portò sul divano facendomi sedere sulle sue gambe. Questa cosa mi piace tanto.

Ci siamo così messi a mangiare insieme, mentre mi raccontava come aveva conquistato la mamma.

«In verità io conoscevo sua sorella e una volta sono andato con altri amici a casa sua. Appena l’ho vista mi sono innamorato di lei.»

«Quindi hai lasciato la zia e ti sei messo con la mamma?»

«Diciamo che non è stato così semplice. Io non volevo certo che litigassero per me, in tal caso era più facile che le perdessi entrambe. Per prima cosa ho cercato di non sembrare troppo interessato a tua madre, le donne sono molto furbe e lo capiscono subito se fai il doppio gioco. Io però la riempivo di complimenti quando l’altra non c’era, mentre quando stavo con sua sorella mi lamentavo di continuo, facevo lo sbruffone, tutto per risultarle sempre meno simpatico. In questo modo tua zia ad un certo punto non ne poteva più di me e sua sorella con il benestare dell’altra, ha iniziato a frequentarmi, perché si era già innamorata del mio fascino ovviamente.»

«Quindi per allontanare una femmina basta diventare antipatici e per conquistarla bisogna farle dei complimenti? Questo spiegherebbe il perché la biondina si sia innamorata di Matteo. L’ho sentito io fargli i complimenti per le scarpe nuove.»

«Ma quanto sei intelligente, amore mio! Di certo hai preso tutto da tuo padre. Diventerai anche tu un grande conquistatore

Erasmo si diverte molto quando il suo papà lo prende sulle sue gambe, ma ancora di più quando possono mangiare le patatine insieme

Come fulminato da quella terribile visione di un futuro pieno di femmine, come mio fratello, scesi al volo dalle sue gambe e dopo averlo ringraziato corsi nella mia camera. Prima di chiudere la porta sentii le urla di mamma che aveva trovato papà con le mani nel sacchetto delle patatine.

Ho sentito che dava la colpa a me, ma non sono tornato indietro per giustificarmi, dopo tutto era grazie a lui che avevo scoperto come si conquistano le femmine e soprattutto cosa si deve fare per farle allontanare.

Forse io risultavo sufficientemente antipatico alle mie compagne di classe, perché nessuna si era mai avvicinata a me. “Meglio così”. Mi dissi, tanto a me non interessavano. Io preferisco i miei amici maschi.

Presi in mano il telefono e chiamai prima Matteo e poi Attilio dicendo che il giorno seguente dovevamo trovarci a scuola di nuovo in anticipo perché avevo una notizia bomba da comunicare. Era in arrivo il piano B.

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TERZO CAPITOLO di ERASMO II

Dalla seconda serie “ERASMO OGNIBENE E LA SUA FAMIGLIA SPECIALE”

Un piano quasi perfetto

Quella mattina avevo dato appuntamento una mezz’ora prima davanti alla scuola ad Attilio, perché volevo spiegargli bene il mio piano.

«Ma sei proprio sicuro che alle bambine piaccia farsi tirare le caccole?» mi disse dubbioso Attilio «E poi, io non è che ne ho tante come tuo fratello.»

«Non devi necessariamente tirarle fuori, puoi anche fare finta, tanto lei urlerà sì, ma vedrai come si diverte.» lo rassicurai.

«Non sono così sicuro, mi sembra molto strano

«Devi fidarti. Non te lo dovrei dire, perché è una questione di famiglia, ma dovevi vedere come si divertivano la sera che li ho spiati. L’alternativa è che trovi anche tu un tuo punto di forza, ma non abbiamo molto tempo e ci vuole molta pratica prima di riuscire a capirlo. A me ci sono voluti mesi.»

«Magari io ci metto meno tempo… dimmi cosa fare e ci provo

«Te l’ho già detto cosa devi fare. Non è difficile. Vuoi conquistare una femmina? Nessuno di quelli che conosco ha più femmine di mio fratello, quindi il suo è sicuramente il metodo migliore e il più veloce.»

Attilio mentre cerca di mettere in pratica i suggerimenti di Erasmo

«Se lo dici tu… però io non ho i suoi muscoli.» si era alzato la maglietta e dovevo ammettere che non aveva la tartaruga di mio fratello.

«Questa volta hai ragione e la maestra potrebbe sgridarti se ti vede senza niente, ma almeno puoi mostrarle il braccio.»

Attilio si arrotolò la manica e fece il gesto di tirare il muscolo, ma io non ho visto una grande differenza. Matteo che ci guardava da lontano si era messo a ridere di gusto. Mi stavo proprio arrabbiando, non solo non ci aiutava, ma ci prendeva anche in giro.

«E va bene, allora fai la faccia da duro.»

«E come si fa?» mi chiese lui.

«Devo proprio dirti tutto? Guarda questa è la foto di mio fratello. Vedi? Le foto le fa tutte così, perché dice che alle femmine piace molto.»

«Ma non si vede la faccia

«Si vede quel tanto che basta. Allora è tutto chiaro? Quando entrerà in classe tu tirati su la manica, le mostri il muscolo mentre ti togli una caccola dal naso e gliela lanci sempre tenendo la testa girata di profilo. Se fai tutte queste cose insieme si innamorerà di te all’istante.»

«Si ma non è micca facile.» mi rispose mentre faceva qualche maldestro tentativo. «Non sono molto sicuro che questa cosa funzioni» si azzardò a dire, finché non mi vide così convinto che forse per paura di come potevo reagire, decise di accontentarmi.

Io mi sono appostato davanti alla porta della classe per aspettare la biondina in modo da mandargli un segnale appena la vedevo entrare. Quando sbucò dal corridoio cominciai a tossire ripetutamente. Era il segnale convenuto. Lui si mise nella posizione che gli avevo indicato: di profilo, manica arrotolata fino alla spalla, e dito nel naso.

La maestra di Erasmo che rimprovera Ilario e gli ordina di andare a disinfettarsi le mani

Peccato che la biondina si era fermata a parlare con Matteo davanti al suo armadietto e in quell’istante è entrata la maestra. Quando lo ha visto con il dito nel naso e la manica alzata lo ha sgridato e lo ha mandato a disinfettarsi subito le mani. Ha detto che se lo ritrovava ancora in quella posizione gli avrebbe fatto anche una multa. E come se non bastasse la biondina è entrata in classe con Matteo mentre la maestra lo stava rimproverando, così entrambi si sono messi a ridere.

Mentre la bidella ha mandato me in infermeria dicendo che avevo troppa tosse.

Non è proprio andata come me l’aspettavo. Forse perché mio fratello è troppo grande, ma non ho sorelle della mia età, Alice è troppo piccola per queste cose, non posso certo chiedere a lei. Mi serve al più presto un piano B.

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