QUARTO CAPITOLO di Erasmo

Papà Ulisse

La domenica successiva mio padre mi prese nuovamente sulle gambe e mi chiese come andava a scuola. Purtroppo, la situazione non era cambiata. Quei ragazzini dispettosi continuavano a prendermi in giro, avevo sbagliato il dettato, che a tutti era sembrato semplicissimo e la merenda si era schiacciata dentro lo zaino due volte quella settimana, tanto che la maestra aveva chiesto a mia madre un contributo per i “bimbi smemorati”, visto che alla fine ero sempre io ad usufruirne.

«Come mai ti si è schiacciata di nuovo la merenda?» mi chiese mio padre.

«Per la verità mi prendono lo zaino e lo lanciano come fosse un pallone, poi magari ci si siedono sopra e alla fine la merenda… ma non voglio, che vieni tu. Voglio cavarmela da solo. Dimmi cosa devo fare per avere il mio super potere.»

«D’accordo. Ma sei proprio sicuro che non vuoi che venga a scuola a parlare con la maestra?»

«Se lo fai diranno che sono una femminuccia, che ho bisogno del papà per difendermi. Sarà anche peggio. La maestra non c’è, quando fanno quelle cose e nessuno può vederli.»

Avevo capito che mio padre non era molto contento di quella situazione e avrebbe voluto fare due chiacchiere con loro e con i loro genitori, ma io volevo che mi rispettassero e se avessi mandato lui, non avrei mai potuto avere il loro rispetto. Ero quindi intenzionato ad andare avanti con quella ricerca del mio potere e forte di quella sicurezza avrei sconfitto i cattivi e mi sarei ripreso il mio amico. Fui molto contento quando vidi che mio padre mi assecondava e attento attesi il seguito del racconto.

Papà Ulisse da bambino

«Vedi questa foto? Sono tutti i miei fratelli. Nonna Margherita aveva il suo bel da fare. Tutti maschi per giunta, solo una sorella. Io ero il più terribile, così dicevano lei e mia madre. Non avevo paura di niente e sfidavo tutti. La nostra famiglia però non era molto ricca e tante bocche da sfamare erano qualcosa di impegnativo. Mia mamma faceva del suo meglio, ma spesso ci dovevamo accontentare di zuppe annacquate e frattaglie. Se ne rammaricava molto, ma la povertà non è una cosa che si può scegliere quando si è piccoli.»

«Quindi tu hai patito la fame?»

«In famiglia l’abbiamo patita tutti io forse un po’ meno. E a quel tempo nel mio paese c’era poco per tanti e troppo per pochi. Fu proprio per avere un’entrata in più che mia sorella fu presa a servizio in una delle famiglie ricche della zona. La facevano faticare come una schiava e in più il loro figliastro era veramente antipatico e la disturbava sempre. A volte mi portava con lei perché non mi volevano lasciare a casa da solo, mi metteva sul tavolo mentre faceva i lavori. Sono caduto solo una volta, poi non mi sono più mosso.»

Risi insieme a lui pur pensando che non doveva essere stato molto felice da piccolo anche se riusciva sempre a trovare il lato divertente di tutte le situazioni.

«Tu ora guardi i cartoni animati in televisione e sul cellulare, ma ai miei tempi c’era una scatola che si chiamava mangiadischi. Io mettevo dentro il disco e quella mi faceva sentire una favola e sono cresciuto così, su quel tavolo prima, in terra poi, ascoltando storie, spesso sempre le stesse, ma era l’unico modo per tenermi buono. Fin quando ho cominciato a correre via e a combinarne di tutti i colori…»

Scoprii che gli avanzi di quella famiglia divennero il loro più appetitoso sostentamento. Peccato che quel tale che importunava mia zia divenne sempre più insistente tanto da costringerla a lasciare il suo posto di lavoro. Mio padre che era molto legato alla sorella ed era già diventato grande, cercò di escogitare un modo per riappropriarsi di quel privilegio che suo malgrado gli era stato tolto. Ero sempre più ansioso di sapere qual era il suo potere e come lo aveva scoperto.

«Non essere impaziente, ora ci arrivo. Ecco la foto che stavo cercando.»

Mi mostrò un’immagine di lui seduto su di una tavola ingombra di piatti e avanzi, con indosso una specie di tovaglia, la faccia sporca e un sorriso evidentemente forzato, mentre due tali gli tenevano in aria le braccia in segno di vittoria.

«Hai presente quando tua madre dice che non ho la valvola del pieno? Ebbene quella è la mia arma vincente.»

Com’era possibile che mangiare tanto fosse un super potere? Non ci potevo credere. Questa volta proprio non mi convinceva.

«Davvero non credi che possa essere un potere? Ora ti racconto. Fin tanto che tua zia lavorava presso quella famiglia, tutti gli avanzi e credimi ne avevano davvero tanti e squisiti, li davano a mia sorella che li condivideva con tutti noi. Quando smise di lavorare tutto quel ben di Dio finì nella spazzatura. Quel brutto personaggio di cui ti ho parlato lo faceva apposta perché voleva indurci a rovistare tra la sua immondizia, come animali. Tale era il rispetto che aveva per chi non era nato altrettanto fortunato. Noi pativamo la fame, mentre lui gettava senza alcun riguardo del cibo squisito.»

Proseguendo mi spiegò che in casa dei miei nonni si erano già accorti tutti del suo straordinario appetito, l’unico a non essersene reso conto era lui. Nonna Margherita diceva che era come un uccellino, con la bocca sempre aperta e pronta ad ingerire qualunque cibo gli presentassero. Quando anch’egli si rese conto di questa sua formidabile capacità, comprese che doveva assolutamente sfruttare il suo talento per riappropriarsi di quel diritto che era stato loro tolto.

Chi aveva tanto cibo da buttare si sapeva, ma come convincerlo a fornirlo gratuitamente? Si dà il caso, che questo riccone fosse anche un grande scommettitore e venne sfidato da mio padre, il quale asseriva di essere in grado di mangiare per un’ora intera, senza mai fermarsi, un quantitativo considerevole di cibo. Se non avesse vinto la scommessa sarebbe diventato un suo garzone non pagato… per sempre. In caso contrario, tutto ciò che rimaneva dei lauti festini che si facevano in quella casa, lo avrebbe dovuto dare alla loro famiglia.

«Qui si vede bene che hai vinto, ma se solo avessi perso la scommessa? E cosa hai dovuto mangiare?»

Papà Ulisse all’inizio della sfida.

«Ti garantisco che mi hanno dato di tutto e di più, certe cose, come l’anguria, non voglio più nemmeno sentirle nominare, ma ne è valsa la pena. Quando ho compreso quale fosse il mio super potere mi sono sforzato di utilizzarlo per il bene di tutta la famiglia. A questo servono i super eroi, a salvare le persone e noi fummo salvati dalla fame.»

«Wow, sei stato molto coraggioso, pa! E la nonna e il nonno non ti hanno rimproverato? Se avessi perso sarebbe stato terribile, saresti diventato uno schiavo di quel brutto tipo.»

«I tuoi nonni lo seppero solo a sfida compiuta, ma il premio che ricevettero per la vittoria non dette loro modo di replicare.»

«Io penso che dovresti raccontare questa storia anche alla mamma, così non ti rimprovererebbe più se mangi troppo…»

«Hai ragione, forse lo farò. Anche tu sei molto furbo vedo. Quando avrai scoperto il tuo potere, sono sicuro che non avrai dubbi su come adoperarlo.»

Mi strizzò un occhio e scesi giù dalle sue gambe sentendomi molto più forte e coraggioso di prima. La mamma ci stava chiamando perché era già pronta la cena. A tavola guardai mio padre ripulire in un batti baleno il piatto. Io non riuscivo nemmeno a finire lo spezzatino con le patate che mi piacciono tanto. Il mio potere non era nemmeno quello.

PER LEGGERE ANCHE GLI ALTRI CAPITOLI TORNA ALLA PAGINA INIZIALE

( Tutti i contenuti e le immagini di questo blog sono salvaguardati dal copyright è quindi vietata la copia e la riproduzione se non autorizzata dall’autore stesso. )