QUINTO CAPITOLO di Erasmo

MAMMA OLIVIA

«Papà, nella nostra famiglia anche la mamma ha un potere?»

«Certo Erasmo. Come ti ho detto tutti ne abbiamo uno. Dobbiamo solo scoprire di che si tratta e imparare come adoperarlo. Ma quello di tua madre è un potere meraviglioso, quanto lei.»

«Niente a che vedere con cacca e puzzette allora?» risposi sorridendo.

«Assolutamente no. Il suo è il potere degli angeli.» lo disse abbassando la voce come si fa con un vero segreto.

Mamma Olivia in braccio alla sua mamma

Mi fece cenno di seguirlo e lo vidi chinarsi davanti alla porta della sua camera da letto. Aprì piano come desiderasse non farsi notare e insieme guardammo dentro. Mamma stava tenendo tra le braccia la mia sorellina Alice che sembrava non volerne sapere di dormire, perché continuava a muoversi e a frignare come fa spesso. Sentii la mamma cantare una ninna nanna, la stessa che ha cantato a me e a mio fratello quando eravamo piccoli. Poco per volta ho visto Alice calmarsi. Quando l’ha messa nel lettino di fianco al loro, era già addormentata.

Seguii mio padre in salotto. Mi fece tornare sulle sue ginocchia come sempre e lì mi chiese se avevo capito.

«Io trovo che il potere di tua madre sia lo stesso potere che devono avere anche gli angeli custodi. Quelli che di notte ti addormentano accarezzandoti la fronte

«Tu me lo dicevi sempre, quando non volevo dormire, che sarebbe arrivato il mio angioletto ad accarezzarmi per farmi addormentare. Anche la mamma può farlo?»

«Io penso proprio di sì. Ricordo anche che tu eri veramente un osso duro qualche anno fa. Ti mettevi seduto sul nostro lettone dicendo che non ti saresti addormentato perché volevi sempre giocare. La mamma ti prendeva vicino a se e con la sua voce dolce ti diceva che avreste solo riposato, che le avresti solo fatto compagnia. Ti accarezzava, ti dava tanti bacetti, come ha fatto ora con Alice e tu fuggivi nel mondo dei sogni.»

«E’ vero! Me lo ricordo. Meno male che ora usa il suo potere su Alice e non mi obbliga più a fare il riposino come i bambini piccoli. Ma ha adoperato il suo potere anche con te?»

«In verità, credo che lei sia una di quelle persone che non si sono ancora rese conto del loro dono. Infatti, preferisce andare a letto prima di me per non sentirmi russare.»

Mamma Olivia mentre esercita il suo potere

Mi venne da ridere, perché davvero la mamma lo rimproverava di addormentarsi subito e prima di lei, ma se lei aveva quel potere, lui poverino come poteva resisterle. Una lampadina mi si accese sulla testa quando compresi che era tutto vero quello che mi aveva detto papà: abbiamo tutti dei doni che spesso non sappiamo far funzionare finché non ce ne rendiamo conto. Io devo stare molto attento. Ora che lo so, non voglio farmi influenzare dal potere degli altri, ma voglio ancora scoprire quale sia il mio.

Mi avvicinai a mio fratello Ilario cercando di accarezzarlo e dargli qualche bacetto per vedere se possedevo lo stesso dono, ma credo che sia un potere che possono avere solo le mamme, perché invece di calmarsi si è agitato e ha cominciato a lanciarmi di tutto, per farmi uscire da camera sua. Nemmeno con Alice riesco ad essere bravo. Quando strilla non riesco a calmarla neanche facendo le boccacce o il gioco del cucù.

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QUARTO CAPITOLO di Erasmo

Papà Ulisse

La domenica successiva mio padre mi prese nuovamente sulle gambe e mi chiese come andava a scuola. Purtroppo, la situazione non era cambiata. Quei ragazzini dispettosi continuavano a prendermi in giro, avevo sbagliato il dettato, che a tutti era sembrato semplicissimo e la merenda si era schiacciata dentro lo zaino due volte quella settimana, tanto che la maestra aveva chiesto a mia madre un contributo per i “bimbi smemorati”, visto che alla fine ero sempre io ad usufruirne.

«Come mai ti si è schiacciata di nuovo la merenda?» mi chiese mio padre.

«Per la verità mi prendono lo zaino e lo lanciano come fosse un pallone, poi magari ci si siedono sopra e alla fine la merenda… ma non voglio, che vieni tu. Voglio cavarmela da solo. Dimmi cosa devo fare per avere il mio super potere.»

«D’accordo. Ma sei proprio sicuro che non vuoi che venga a scuola a parlare con la maestra?»

«Se lo fai diranno che sono una femminuccia, che ho bisogno del papà per difendermi. Sarà anche peggio. La maestra non c’è, quando fanno quelle cose e nessuno può vederli.»

Avevo capito che mio padre non era molto contento di quella situazione e avrebbe voluto fare due chiacchiere con loro e con i loro genitori, ma io volevo che mi rispettassero e se avessi mandato lui, non avrei mai potuto avere il loro rispetto. Ero quindi intenzionato ad andare avanti con quella ricerca del mio potere e forte di quella sicurezza avrei sconfitto i cattivi e mi sarei ripreso il mio amico. Fui molto contento quando vidi che mio padre mi assecondava e attento attesi il seguito del racconto.

Papà Ulisse da bambino

«Vedi questa foto? Sono tutti i miei fratelli. Nonna Margherita aveva il suo bel da fare. Tutti maschi per giunta, solo una sorella. Io ero il più terribile, così dicevano lei e mia madre. Non avevo paura di niente e sfidavo tutti. La nostra famiglia però non era molto ricca e tante bocche da sfamare erano qualcosa di impegnativo. Mia mamma faceva del suo meglio, ma spesso ci dovevamo accontentare di zuppe annacquate e frattaglie. Se ne rammaricava molto, ma la povertà non è una cosa che si può scegliere quando si è piccoli.»

«Quindi tu hai patito la fame?»

«In famiglia l’abbiamo patita tutti io forse un po’ meno. E a quel tempo nel mio paese c’era poco per tanti e troppo per pochi. Fu proprio per avere un’entrata in più che mia sorella fu presa a servizio in una delle famiglie ricche della zona. La facevano faticare come una schiava e in più il loro figliastro era veramente antipatico e la disturbava sempre. A volte mi portava con lei perché non mi volevano lasciare a casa da solo, mi metteva sul tavolo mentre faceva i lavori. Sono caduto solo una volta, poi non mi sono più mosso.»

Risi insieme a lui pur pensando che non doveva essere stato molto felice da piccolo anche se riusciva sempre a trovare il lato divertente di tutte le situazioni.

«Tu ora guardi i cartoni animati in televisione e sul cellulare, ma ai miei tempi c’era una scatola che si chiamava mangiadischi. Io mettevo dentro il disco e quella mi faceva sentire una favola e sono cresciuto così, su quel tavolo prima, in terra poi, ascoltando storie, spesso sempre le stesse, ma era l’unico modo per tenermi buono. Fin quando ho cominciato a correre via e a combinarne di tutti i colori…»

Scoprii che gli avanzi di quella famiglia divennero il loro più appetitoso sostentamento. Peccato che quel tale che importunava mia zia divenne sempre più insistente tanto da costringerla a lasciare il suo posto di lavoro. Mio padre che era molto legato alla sorella ed era già diventato grande, cercò di escogitare un modo per riappropriarsi di quel privilegio che suo malgrado gli era stato tolto. Ero sempre più ansioso di sapere qual era il suo potere e come lo aveva scoperto.

«Non essere impaziente, ora ci arrivo. Ecco la foto che stavo cercando.»

Mi mostrò un’immagine di lui seduto su di una tavola ingombra di piatti e avanzi, con indosso una specie di tovaglia, la faccia sporca e un sorriso evidentemente forzato, mentre due tali gli tenevano in aria le braccia in segno di vittoria.

«Hai presente quando tua madre dice che non ho la valvola del pieno? Ebbene quella è la mia arma vincente.»

Com’era possibile che mangiare tanto fosse un super potere? Non ci potevo credere. Questa volta proprio non mi convinceva.

«Davvero non credi che possa essere un potere? Ora ti racconto. Fin tanto che tua zia lavorava presso quella famiglia, tutti gli avanzi e credimi ne avevano davvero tanti e squisiti, li davano a mia sorella che li condivideva con tutti noi. Quando smise di lavorare tutto quel ben di Dio finì nella spazzatura. Quel brutto personaggio di cui ti ho parlato lo faceva apposta perché voleva indurci a rovistare tra la sua immondizia, come animali. Tale era il rispetto che aveva per chi non era nato altrettanto fortunato. Noi pativamo la fame, mentre lui gettava senza alcun riguardo del cibo squisito.»

Proseguendo mi spiegò che in casa dei miei nonni si erano già accorti tutti del suo straordinario appetito, l’unico a non essersene reso conto era lui. Nonna Margherita diceva che era come un uccellino, con la bocca sempre aperta e pronta ad ingerire qualunque cibo gli presentassero. Quando anch’egli si rese conto di questa sua formidabile capacità, comprese che doveva assolutamente sfruttare il suo talento per riappropriarsi di quel diritto che era stato loro tolto.

Chi aveva tanto cibo da buttare si sapeva, ma come convincerlo a fornirlo gratuitamente? Si dà il caso, che questo riccone fosse anche un grande scommettitore e venne sfidato da mio padre, il quale asseriva di essere in grado di mangiare per un’ora intera, senza mai fermarsi, un quantitativo considerevole di cibo. Se non avesse vinto la scommessa sarebbe diventato un suo garzone non pagato… per sempre. In caso contrario, tutto ciò che rimaneva dei lauti festini che si facevano in quella casa, lo avrebbe dovuto dare alla loro famiglia.

«Qui si vede bene che hai vinto, ma se solo avessi perso la scommessa? E cosa hai dovuto mangiare?»

Papà Ulisse all’inizio della sfida.

«Ti garantisco che mi hanno dato di tutto e di più, certe cose, come l’anguria, non voglio più nemmeno sentirle nominare, ma ne è valsa la pena. Quando ho compreso quale fosse il mio super potere mi sono sforzato di utilizzarlo per il bene di tutta la famiglia. A questo servono i super eroi, a salvare le persone e noi fummo salvati dalla fame.»

«Wow, sei stato molto coraggioso, pa! E la nonna e il nonno non ti hanno rimproverato? Se avessi perso sarebbe stato terribile, saresti diventato uno schiavo di quel brutto tipo.»

«I tuoi nonni lo seppero solo a sfida compiuta, ma il premio che ricevettero per la vittoria non dette loro modo di replicare.»

«Io penso che dovresti raccontare questa storia anche alla mamma, così non ti rimprovererebbe più se mangi troppo…»

«Hai ragione, forse lo farò. Anche tu sei molto furbo vedo. Quando avrai scoperto il tuo potere, sono sicuro che non avrai dubbi su come adoperarlo.»

Mi strizzò un occhio e scesi giù dalle sue gambe sentendomi molto più forte e coraggioso di prima. La mamma ci stava chiamando perché era già pronta la cena. A tavola guardai mio padre ripulire in un batti baleno il piatto. Io non riuscivo nemmeno a finire lo spezzatino con le patate che mi piacciono tanto. Il mio potere non era nemmeno quello.

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TERZO CAPITOLO di Erasmo

Nonna Margherita

 

Dopo qualche giorno, tornai a piagnucolare da mio padre. Volevo sapere a tutti i costi il mio super potere, continuando a ripetergli che se tutti ne avevano uno, io di certo no. Lui mi rassicurò che era impossibile, soprattutto nella nostra famiglia. Così presi di nuovo l’album di fotografie e gli dissi di parlarmi di nonna Margherita.

«E va bene. Mia mamma era molto dolce e molto bella, ma possedeva un potere disgustoso

«Più della cacca del nonno?»

«Molto, molto di più.»

A quel punto la mia attenzione era tutta catalizzata su mio padre. Volevo sapere tutto e lui iniziò, dopo avermi preso sulle sue gambe.

Nonna Margherita e la sua rivale in amore

«La nonna scoprì il suo dono molto prima di tuo nonno. Era ancora una bambina quando pensò di avere un problema, che si rivelò invece molto utile in seguito

«Avanti papà racconta.»

«Devi sapere che mia mamma non amava la scuola, non amava studiare e la maestra pur di non averla in classe a disturbare, la mandava a fare le pulizie a casa sua.»

«Ma si poteva?»

«In realtà no, ma una volta le cose andavano diversamente.»

«E il suo papà e la sua mamma non dicevano niente?»

«Era un accordo tra nonna Margherita e la maestra, che se ne guardava bene dal raccontare come stavano le cose, altrimenti avrebbe perso i suoi servizi. In cambio di quel lavoro lei la promuoveva ogni anno anche se non andava mai a lezione. Ma non farti illusioni, ora non funziona più così e tu non potresti fare altrettanto.»

«Io non sono nemmeno bravo a ordinare camera mia, non potrei farlo per la maestra.» risposi sorridendo.

«Tranquillo, non succederà. Però per tua nonna era un sollievo, perché preferiva muoversi piuttosto che starsene tutto il tempo seduta dentro quei banchetti tanto piccoli che usavano una volta.» e mi mostrò una foto di lei dentro un banco.

Aveva la faccia molto seria. Non sembrava per niente felice. Poverina. Forse c’erano bambini dispettosi anche nella sua classe. Pensai. E avevo ragione. Infatti, mio padre mi disse che fu proprio una bambina dispettosa a dire alla mia bisnonna che la maestra si faceva fare le pulizie da nonna Margherita, la quale fu costretta a tornare in classe e a studiare. Per giunta la mise proprio in banco con quella spiona. Non facevano che punzecchiarsi e tirarsi le trecce, fino al momento in cui alla nonna venne in mente di utilizzare il suo super potere.

«Devi sapere che tua nonna faceva delle puzzette terribili. Sembravano solide e rimanevano nell’aria per ore. Nonostante fossero in tanti in famiglia, era l’unica che poteva godere di una stanzetta da sola, perché la tua bisnonna diceva che poteva stenderli tutti e non farli svegliare mai più.»

Io ascoltavo incredulo. In quanto a puzzette, anch’io non me la cavo male, ma anche in quelle non sono un campione. La mia sorellina piccola è molto più brava di me. Però volevo sapere com’era riuscita a vendicarsi della sua compagna di scuola.

Il bambino di cui era innamorata nonna Margherita e il resto della classe

«Il caso volle che entrambe fossero attratte dallo stesso bambino. Un giorno in cui la vide chiacchierare animatamente con lui appoggiata ad un albero, decise che era giunto il momento anche per lei, di prendersi la sua rivincita. Si avvicinò di soppiatto senza farsi notare e da dietro la siepe lanciò una delle sue terribili puzzette. Nessuno la poteva vedere e il bambino disgustato dette subito la colpa all’unica persona che aveva davanti. Quella serie di “incidenti”, continuarono a ripetersi sempre più di frequente. Nonna Margherita era infatti libera di fare le sue puzzette ogni volta che voleva, tanto la colpa andava alla compagna di banco, che finì per pensare di essere davvero lei a fare quell’odore sgradevole senza nemmeno rendersene conto. Spesso capitava quando la maestra voleva interrogarla, o quando si stancava di stare seduta.»

Pensai che mi sarebbe piaciuto essere altrettanto bravo, ma di certo una volta le cose erano più facili. Oggi tutti si accorgerebbero che sono io a farle e al “Tuttobene?” ci aggiungerebbero un “puzzone”. Questo potere a me non servirebbe proprio. Una volta era molto più semplice essere bambini.

«Alla fine, bisogna anche dire che la mia mamma non era né cattiva, né vendicativa e si commosse quando la vide scappare via piangendo. Fu allora che comprese di aver esagerato. La consolò, la difese e divennero amiche. Anche se, non le confidò mai il suo segreto. Dopo tutto, i super poteri funzionano solo se rimangono segreti.»

Per quella sera i racconti purtroppo, finirono lì. Io dovevo ancora conoscere il mio e continuavo a dubitare di averne uno. Quando la mamma mi aiutò a fare il bagno mi guardai allo specchio e cercai di strizzare gli occhi per vedere se succedeva qualcosa, ma niente. Provai a fare il muscolo come fa sempre mio fratello prima di giocare a Braccio di Ferro, ma la forza non doveva certo essere tra i miei poteri. Che fatica essere bambini oggi! Una cosa però la sapevo: se fossi riuscito a riavere il mio amico, sarei stato il bambino più felice del mondo. Io mi divertivo tanto con Matteo prima che diventasse… così.

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SECONDO CAPITOLO di Erasmo

Nonno Ignazio

«Amore mio è giunto il momento di svelarti un grande segreto.»

Questo mi disse il mio papà mentre avevo gli occhi pieni di lacrime e gridavo di non voler più andare a scuola.

«Tu provieni da una famiglia di super eroi

Io l’ho guardato incredulo. Non avevo mai saputo che avessimo dei poteri speciali e pensavo che, se fosse stato vero, si erano dimenticati di me o non mi avevano trovato, perché non sapevo davvero fare niente.

Nonno Ignazio durante il servizio militare

«I super poteri sono doti naturali che si possiedono e nessuno può portarli via. Alcuni li chiamano talenti. Purtroppo, la maggior parte delle persone non si accorge di averli, li sottovaluta o addirittura se ne vergogna. Per non parlare di quelli che non li sanno proprio adoperare. Ma la nostra famiglia è sempre stata molto intelligente.»

Ovviamente non mi bastò quella spiegazione. Non solo volevo vedere di cosa fosse capace, ma desideravo conoscere subito il mio dono.

«Non avere fretta. Come ti ho detto, il talento bisogna saperlo conoscere bene per poterlo sfruttare al meglio, altrimenti non te ne fai nulla. Per questo ognuno di noi deve scoprire da se, qual è il suo, ma ti posso assicurare che alla fine arriverai da solo a capirlo e a quel punto sì, che ti sarà utile.»

«E riuscirò a ritornare amico di Matteo e ad avere anch’io tanti amici?»

«Questo dipenderà da te e dalle tue abilità. Vediamo da dove posso incominciare.»

A bocca aperta, con il moccio che mi colava dal naso e le guance rosse ancora rigate di lacrime, lo guardavo come non lo avevo mai guardato prima. Lui mi sorrideva e mi portò un grande volume pieno di fotografie. Lo riconobbi subito. Una volta non c’erano gli album digitali e le foto venivano stampate sulla carta e messe in libri dove li si poteva sfogliare.

«Partiremo dal principio. In questo album troveremo la storia della nostra famiglia.»

«Ma io la conosco già. Non voglio guardare queste vecchie foto.» piagnucolai pensando che volesse solo raccontarmi le solite storie di quando era bambino. Erano belle, ma me le aveva raccontate così tante volte che mi avevano stancato.

«Tu pensi di conoscerle, ma in realtà contengono grandi misteri.»

A quel punto ero davvero curioso. Poteva davvero esserci qualcosa che ancora non sapevo? Non capivo se anche lui si stesse prendendo gioco di me, oppure vi era davvero qualcosa di incredibile che avremmo condiviso insieme. Dopo aver sfogliato qualche pagina si fermò davanti all’immagine di mio nonno, il suo papà. Era ancora giovane e si appoggiava ad una pala davanti ad una stalla. Quando aveva conosciuto la nonna lavorava già in una fattoria molto grande. Al suo fianco vi erano due mucche. Una volta papà mi ci aveva portato e le mucche c’erano ancora.

«Questa foto te l’ho mostrata altre volte Erasmo, ma non ti ho mai detto che fu scattata un giorno molto particolare. Il giorno in cui mio padre mi confidò il nostro segreto, proprio come sto facendo io ora con te.»

Io lo guardavo a bocca aperta, per me era una foto qualunque, in bianco e nero, anche troppo piccola. Mi raccontò che nonno Ignazio era stato rimproverato dalla nonna Margherita che lo aveva costretto suo malgrado ad una dieta speciale che comprendeva grandi quantità di riso, carote e patate.

«Quando sono malato anche a me la mamma da sempre quelle cose insieme alle fette biscottate.»

«Ѐ vero e proprio in quell’occasione comprese quanto fosse speciale il suo particolarissimo potere.»

Io continuavo a non capire, ma volevo che andasse avanti. Mi spiegò che fece una cacca così dura, che non riuscivano più a mandarla giù dal gabinetto. Mi fece molto ridere, ma non potevo capire che potere fosse mai questo e a che cosa poteva mai tornare utile.

«Per tre giorni la cacca del nonno rimase immobile dove era stata lasciata. Nessuno voleva prenderla con le mani e per quanta acqua si buttasse, o detersivi o altro, non vi era nulla da fare, continuava a rimanere lì e nessuno voleva più usare il bagno. Alla fine, il nonno riuscì a rimediare con un solvente particolarmente aggressivo. Non sai che sollievo per nonna Margherita e per tutti noi.»

«Si, ma alla fine a cosa mi servirebbe fare una cacca così?»

«Oh, ma questo non è il tuo potere, questo era il suo. Il potere maggiore è quello che diamo noi alle cose. Anche nonno Ignazio aveva un nemico, come tutti i super eroi. Era il suo vicino di casa. Non faceva che fargli i dispetti. Soprattutto al nostro cane. Così questa “disavventura” gli dette lo spunto per una divertente rivincita. Iniziò col fargli credere di essere uno stregone, che poteva fare addirittura maledizioni, giocando sul fatto che il suo vicino era molto pauroso e superstizioso. Temeva questo genere di cose, ma non era così sprovveduto da credere solo a quelle danze pittoresche e a quei canti assurdi che si inventava tuo nonno. Mio padre però sapeva che quello era solo l’inizio. Infatti, il giorno successivo a quella sceneggiata, si introdusse furtivo nella casa di quel villano e lasciò nel gabinetto un ricordino poco profumato, di quelli che solo lui sapeva fare. Poi fuggì via. Noi ci svegliammo quella mattina con le urla della moglie. Credo che anche per loro sia stato complicato distruggere quel maleodorante intruso. Quando tuo nonno me lo ha raccontato non sai quanto ci siamo divertiti.»

«Nonno Ignazio era davvero furbo e coraggioso. Entrare come un ladro in quella casa senza nemmeno farsi scoprire… è pericoloso.»

«Una volta era più facile intrufolarsi nelle case. Non avevano cancelli e serrature come oggi. Lui poi, non aveva portato via niente, anzi aveva lasciato qualcosa…»

Ci mettemmo a ridere insieme. Poi però divenni nuovamente triste e pensieroso.

«Ma i dispetti, ha continuato a farglieli?»

«No. Non li fece più. E se devo essere sincero penso che nonostante abbiano continuato a beccarsi affabilmente, si volevano anche bene.»

Continuammo a scherzare immaginando le facce di mamma se si fosse trovata nei panni di nonna Margherita. Alla fine, però, non ero proprio convinto che fosse un vero potere da super eroe. Io poi non sarei mai riuscito ad essere così bravo. Di certo non avevo il dono del nonno. La mamma mi aveva fatto mangiare quelle cose tante volte quando ero malato e non avevo mai fatto una cacca così.

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PRIMO CAPITOLO di Erasmo

Matteo Goldoni

Matteo Goldoni  Tutto ebbe inizio quando quello che credevo essere il mio più grande amico, Matteo Goldoni, ha pensato che una volta finita la scuola materna, non potesse più esserlo. Io e Matteo eravamo inseparabili anche se lui è bravissimo a correre, mentre io mi stanco subito e rimango indietro. A scuola poi è super. Quando la maestra fa una domanda lui alza sempre la mano, io invece mi agito e comincio a sudare, dimenticando tutto. Credo sia anche più carino di me, perché le bambine della nostra classe continuano a dividere con lui la merenda. Io, se la dimentico ho solo quella di scorta che la maestra tiene nell’armadietto rosso per i “bimbi smemorati”. Alla fine, Matteo mi ha detto che non era bene per lui avere un amico come me, così si è spostato nell’ultimo banco. Di fianco a me la maestra ha messo un bambino di nome Attilio. Non parla molto e credo che anche lui non sia molto bravo ad ascoltare, perché non sa rispondere a nessuna domanda.

Dopo Natale, Matteo era entrato a far parte di un gruppo nel quale c’erano anche dei bambini più grandi, mentre la mia unica compagnia era rimasta Attilio. Hanno iniziato a prendermi in giro, storpiando il mio cognome da Ognibene in “Tuttobene?” E non la smettevano più. Matteo non faceva niente per salvarmi, anzi si metteva a ridere, ma poi vedevo che abbassava gli occhi. Io però soffrivo molto e piangevo. Ѐ stato così che il mio papà, scoprì quello che stava succedendo e come un vero super eroe riuscì a salvarmi, parlandomi del nostro misterioso dono di famiglia.

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