SAFARI AFRICANO

Dal romanzo inedito “Le figlie del Sole”

SAFARI AFRICANO 

17° capitolo

Al mattino, Chiara e Pola erano pronte per partire, ma ancora Marta non si vedeva. Si diressero verso l’aeroporto, perché i patti erano che qualunque cosa fosse successa dovevano recarsi in Africa. Stavano per acquistare i biglietti aerei, quando la mano di Marta le fermò. Scostandole dalla fila, in un angolino appartato spiegò loro quello che aveva visto sul monte Olimpo, compresa la malattia del Prof. Magus e si propose di portare tutte in Africa all’istante. 

Marta raggiunge Chiara e Pola all’aeroporto

«Sei … sei sicura di farcela?» domandò Chiara preoccupata «Non hai mai spostato più di due persone alla volta a quanto ne so.» 

Marta insistette, dicendo che i tempi erano stretti e che il Prof. Magus era troppo malato, bisognava assolutamente fare qualcosa o sarebbe stato inutile anche trovare la pietra. 

«Hai ragione, ma temiamo che sia uno sforzo troppo grande, non vorremmo ti ammalassi anche tu.» ribattè Pola.

Marta si fece cupa. Anche lei sentiva che gli spostamenti dovevano essere fatti con cautela e le richiedevano un dispendio di energie molto grande. 

«Aspettate!» disse improvvisamente Chiara. «Pola, passami la borsa di Pluto!» Ci guardò dentro e vide la pietra pulsare. «Sarà lei a darti la forza necessaria! Fidati Marta, ce la puoi fare 

Marta mise sulla spalla la borsa con il meteorite, prendendo per mano le altre sorelle. Dopo un lungo quanto interminabile lasso di tempo, in cui videro solo una specie di tunnel luminoso, si trovarono tutte e tre fuori dall’aeroporto sudafricano di Hendrik Van Eck. Si guardarono intorno spaesate. Non erano abituate a quel paesaggio. Poco distante un elefante passeggiava tranquillo con il suo padrone. Marta sorrise divertita all’idea che in quel posto gli animali da passeggio fossero così mastodontici. 

Guardando dentro la borsa di Plutone, Marta trovò la mappa del Sudafrica con le coordinate degli ultimi avvistamenti dello stregone San. Pola riuscì parlando in inglese a noleggiare una jeep. Si addentrarono così nel gigantesco parco con una guida locale che non sembrava capire le loro necessità. Infatti, mostrava solo luoghi turistici, mentre loro avevano bisogno di raggiungere le parti più interne e selvagge di quella terra. 

«Dobbiamo lasciare questo itinerario per turisti o non la troveremo mai!» suggerì Pola. «Questo tipo non ha nessuna intenzione di aiutarci!» 

Marta si era fermata su di un masso. Aveva ripreso la sacca di Pluto e guardava dentro con meraviglia. Chiara si avvicinò ed ebbe una visione. Toccò la mano di Marta che subito si rese conto di dove si trovasse il posto che stava mostrando la pietra. Bastò uno sguardo reciproco per comprendere dove dovevano recarsi per trovare la prossima prescelta. Immediatamente sparirono alla vista del loro accompagnatore, senza che questi avesse il tempo di capire cosa fosse successo. 

Il luogo nel quale si ritrovarono pochi istanti più tardi, era particolarmente ricco di vegetazione e quindi piuttosto buio, mentre un suono particolare giungeva dalla foresta. Un suono che non avevano mai udito prima di allora. Le ragazze si strinsero l’una contro l’altra preoccupate ed impaurite. Alcune foglie cominciarono a muoversi davanti a loro fino a mostrare le mandibole, ricche di denti appuntiti, di un leopardo affamato e sbavante. Sembrava leccarsi i baffi con lo stesso entusiasmo con cui un ingordo si lega il tovagliolo al collo prima di affondare le mani nel piatto. Sentirono il suo ruggito e risposero con un grido disperato chinandosi tutte e tre a terra paralizzate dalla paura. Supplicarono Marta di portarle via, ma era troppo spaventata, non riusciva a concentrarsi. Nel momento in cui la belva fece un salto per avventarsi contro di loro, la mano di Pola con un gesto incondizionato toccò l’animale, che cadde a terra tramortito. Come un tenero micetto, ora cercava le coccole e faceva le fusa. 

Lo strano suono era cessato e davanti a loro si palesò una figura umana che non sapevano distinguere. Aveva il capo rasato, il corpo semi nudo, con una lancia in mano e un teschio legato ad una specie di cintura. Marta fece cadere a terra la borsa contenente la pietra, perché diventata incandescente. Da qui capirono che si trattava della prescelta che stavano cercando. 

«Siamo sicuri che si tratti di una donna?» chiese scettica Pola. 

«Si, è lei ne sono più che certa, guarda la pietra.» rispose Chiara mostrando il meteorite che ancora pulsava come impazzito.  

Comunicare con quell’essere all’apparenza selvaggio sembrava impossibile. Inizialmente pensarono che fosse muta come Marta, ma  non rispondeva nemmeno al linguaggio dei segni. L’altezza, il colore della pelle e quello sguardo impenetrabile, oltre agli oggetti inquietanti che le decoravano il corpo, aiutavano ad alimentare un clima  inquietante e misterioso. 

«Non dimentichiamoci che siamo riuscite ad ammansire un leopardo. Cosa volete che ci faccia questa donna?» le rimproverò Chiara. Quando le fu più vicina si accorse che in realtà non era poi così brutta, anzi aveva un suo fascino, che non veniva certo risaltato dal capo rasato e dall’outfit selvaggio. Sentì che il motivo di quell’aspetto era cercare di risultare volutamente spaventosa, per tenersi lontana dalle persone.  

Stella non smetteva di guardarla fissa negli occhi. Spostò l’attenzione solo quando le fu messo davanti il meteorite pulsante. Allungò la mano per afferrarlo. Le altre tentarono di farsi avanti per dissuaderla dal consegnarle la pietra per paura che potesse gettarla o distruggerla, incapace di capirne il valore, fin tanto che non la videro aprire bocca. Ancora una volta scoprirono che riuscivano a comprendere quello strano linguaggio senza alcuna difficoltà. Si sedettero a terra e iniziarono a parlarle di ciò che stava accadendo. Anche Stella raccontò alle altre la sua storia, almeno in parte. Parlò del suo potere e di come gli sarebbe stato impossibile abbandonare il sud Africa.  

«Tutto ciò che di meraviglioso vedete qui è merito dei miei capelli! Una volta tagliati li devo spargere sulla terra con l’aiuto del vento in una particolare cerimonia. Se me ne vado, la terra tornerà arida e secca, moriranno gli animali e le persone. Mi spiace, ma non posso venire con voi.» 

«Allora non hai capito! Moriremo tutti se non troviamo presto il Cristal Ignis! Tutte noi volevamo rimanere nei nostri paesi, presso le nostre famiglie e i nostri cari.» intervenne Pola infastidita dal leopardo che non smetteva di leccarla. 

«Ecco, perché non vuoi unirti a noi!» Chiara si alzo in piedi di scatto inorridita «Vedo due ombre dietro di te!» 

«Che sciocchezza! Perché poi le vedi solo dietro di me? Tu stai mentendo!» rispose Stella mentre sovrastandola con la sua statura la minacciava apertamente con la lancia. 

«Una dice di chiamarsi Delusione e l’altra … Omicidio!» 

Anche Marta e Pola si alzarono in piedi e retrocessero evidentemente turbate. Con un urlo animalesco Stella corse via! Con i gesti Marta espresse la sua opinione di lasciarla nella foresta e andare sole. Quella strana donna era troppo inquietante e faceva loro paura, non potevano negarlo. Dopo quella rivelazione, poi, come fidarsi? 

«Non possiamo farlo! Per trovare il Cristal Ignis dobbiamo esserci tutte. Ricordate cosa ci ha detto più volte Plutone?» ribadì preoccupata Pola. 

«Come suggerisci di guarirla? Non è altro che una selvaggia. Hai visto come si comporta.» rispose stizzita Chiara. 

Marta suggerì di farla toccare da Pola. Se era riuscita ad addolcire un leopardo infuriato, che già avevano deciso di chiamare familiarmente Leo, avrebbe potuto addomesticare anche quell’essere brutale che non riuscivano a chiamare sorella. Convennero che poteva essere un suggerimento valido, ma la sera stava calando e avevano bisogno di trovare un riparo per la notte. Si nascosero in una miniera abbandonata. Tutte abbracciate a Leo, che dopo essersi allontanato probabilmente per rifocillarsi, era tornato e ora poteva scaldarle. 

Stella controllava da lontano il movimento di quelle che si erano definite le sue sorelle. Seduta sotto un cielo illuminato dalle costellazioni estive suonava il suo strumento preferito, cercando di convincersi che poteva finalmente avere la possibilità di andarsene da quel posto, almeno fino alla prossima luna piena. Per assurdo, era l’unica che aveva sempre desiderato andarsene. Questa volta poteva avere la scusa giusta. Peccato che le parole di Chiara, l’avevano ferita nel profondo. Il suo orgoglio ribolliva, mentre una forza incontrollabile le suggeriva di seguire quella comitiva. Sentiva dentro di lei che avevano bisogno della sua forza e del suo coraggio, sentiva di poter essere utile in modo differente, come mai prima di allora.  

 

Il mattino seguente Stella si fece trovare all’imboccatura della miniera quando le sue sorelle uscirono. Si guardavano con diffidenza. Marta si sforzò di mostrarsi contenta di vederla e la invitò a prendere per mano Pola, spiegando che quello era l’unico modo per essere teletrasportati, ma l’intento era di ammansirla. Quando Pola – seppur reticente – riuscì a prenderle la mano, si stupirono tutte perché non accadde proprio nulla. 

«Come mai le ombre sono ancora lì?» chiese come scandalizzata Chiara. «Sei riuscita ad addomesticare un leopardo e con questa non ce la fai?» 

Capito il trucco, Stella ritrasse la mano indispettita. 

«Cosa volete farmi? Siete venute fin qui per prendervi gioco di me?» 

«Te lo abbiamo detto chi siamo. Piuttosto chi sei tu? Non ci fidiamo di un’assassina.» intervenne Chiara spingendola con una mano lontano da loro. 

Marta cercò di mettersi in mezzo tra le due per evitare una lite, mentre Pola stava ancora riflettendo e – a voce alta – finalmente espresse il suo parere. 

«Credo di aver capito il perché non ha funzionato 

«Chiaro, non puoi perché è una di noi…» rispose Chiara in tono falsamente ironico. 

«Non è questa la ragione. Direi piuttosto che, io addolcisco i cuori malvagi e se non funziona può voler dire solo una cosa: non ha il cuore cattivo.» 

Marta ricordò a tutte che aveva ucciso qualcuno, quindi era evidente che tanto buona non lo fosse. Le chiesero di dimostrare la sua buona fede, raccontando realmente come stavano le cose. Pola si fece avanti con il sorriso prendendole nuovamente la mano per dimostrarle di credere in lei. Stella commossa da quel gesto, acconsentì e cercò di spiegare le circostanze ineluttabili che l’avevano portata a quel gesto. 

«Mi ero innamorata… di un ragazzo che mi ha delusa. Ha approfittato del potere dei miei capelli e della mia ingenuità per derubare persone innocenti. Una notte i miei capelli sono cresciuti oltremodo e lo hanno soffocato. Io sono pentita di quello che è successo, ma non è stato un gesto voluto, io non posso far crescere i capelli a comando, o almeno… non è mai più successo. Non avete idea di quante volte avrei voluto tornare indietro, avere la possibilità di confrontarmi con lui, capire il suo gesto, poterlo perdonare. I miei capelli hanno agito senza che io potessi fermarli e l’unico rammarico è che in quell’istante, non avevo pietà … ritenevo quello che stava accadendo una giusta punizione.» 

Dopo quella spiegazione l’ombra scarlatta dai lunghi occhi neri denominata omicidio con un urlo terribile schizzò via, mentre quella grigio pallido, con gli angoli della bocca rivolti verso il basso, (Delusione) continuava a nascondersi a mala pena dietro le sue spalle, come se temesse di essere scacciata anch’essa.  

Chiara avvisò che la peggiore delle due se n’era andata nel momento in cui Stella aveva confessato di essersi sinceramente pentita, ma continuava ad essere piuttosto scettica nei suoi confronti. Proprio non le stava simpatica e non riusciva assolutamente a nascondere quel suo cipiglio. 

 

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