CHIARA E LE OMBRE

Dal romanzo inedito “Le figlie del Sole” 

CHIARA E LE OMBRE

 

Chiara vive a Buenos Aires, la grande capitale argentina, a pochi passi dal cuore pulsante della città, ovvero Plaza de Mayo. E’ diventata una bambina molto speciale, nel momento in cui una piccolissima scheggia proveniente da un meteorite – staccatosi dal sole – le si era posato gentilmente al centro della fronte, all’insaputa della sua tata. Da quel momento ella fu in grado di vedere e sentire cose che adulti e coetanei non avrebbero mai creduto possibile.

Era ancora una bambina quando le si presentò davanti un compagno di scuola piuttosto serio. Avrebbe voluto contagiare anche lui con il dono del buon umore, che la metteva sempre al centro dell’attenzione di tutti, ma ogni volta che gli stava vicino il cuore le iniziava a battere fortissimo e la punta del suo nasino diventava fredda come un ghiacciolo, inibendola completamente. Finì per guardarlo solo da lontano. Ogni tanto si azzardava a salutarlo con la mano. Non sempre il bimbo ricambiava quel saluto. A volte aumentava il suo broncio serio per voltarsi altrove e lei ci rimaneva molto male, ma continuava a sperare che prima o poi lui l’avrebbe notata.

Una volta diventata più grandicella i suoi poteri aumentarono e poiché era anche piuttosto intelligente, comprese in fretta che non era il caso di parlare con nessuno di quello che vedeva e sentiva. Faceva davvero una grande fatica a trattenersi, soprattutto quando si trovava in compagnia di quel bambino triste, che le faceva sempre diventare il nasino freddo.

Un pomeriggio di primavera era seduta sulla panchina di un giardino nei pressi della scuola. Stava leggendo un libro, quando il ragazzino le sfrecciò a fianco, urlando dalla sua bellissima bicicletta rossa fiammante. Alzò le spalle e si rimise a leggere. Lui dispettoso le passò nuovamente vicino cantando ad alta voce. Chiara fece un lungo sospiro e riprese da dove era stata interrotta. Per la terza volta egli cercò di attirare la sua attenzione, questa volta con acrobazie pericolose. Chiara ormai stanca di quell’esibizione, si alzò di scatto intimandogli di smetterla. Fu tale la sorpresa del giovane, che cadde a terra ferendosi il ginocchio e un gomito. Ella corse da lui per aiutarlo, ma questi – orgoglioso – non volle il suo aiuto e le ordinò di andarsene. Lei ci rimase molto male. Lasciò improvvisamente la mano che gli aveva preso per aiutarlo e in quell’istante vide un’ombra nera – terribilmente brutta – toccarle il petto e nascondersi nuovamente dietro il giovane, che tornò cupo e malconcio verso casa. Mentre trascinava la sua bicicletta lo sentì rivolgerle alcuni nomignoli poco educati.

Offesa per quel comportamento, raccolse il suo libro, non senza accorgersi che qualcosa di brutto le era capitato. Ebbe l’impressione che quell’ombra le avesse portato via qualcosa dal cuore, perché lo sentiva dolorante. Si guardò bene allo specchio. Apparentemente non le mancava nulla. Eppure, il ghigno di quell’ombra e il dolore che le avevano procurato erano troppo reali per farla stare tranquilla.

Gli anni passarono. Lei si fece sempre più solitaria, quanto bella. Le presentarono un giovane proprietario di una ricca Estancia, un’azienda agricola e turistica, in una fertile e vasta prateria poco fuori città. Egli si innamorò di lei e le propose di sposarla. Chiara non conosceva l’amore e finì per cedere alle sue lusinghe. Lui la portò nella sua grande villa, dove non mancava proprio nulla, anche il paesaggio era meraviglioso. Adorava i cavalli e lì poteva cavalcare ogni giorno, eppure in lei stava crescendo un’incontenibile rabbia. Non riuscire a darsene una valida ragione la faceva entrare in collera anche con se stessa. Non poteva proprio accettare il suo comportamento incontentabile, anche perché il marito la riempiva di attenzioni e di amore.

Un giorno, notò nei propri occhi un’ombra scura. Guardò meglio e si accorse che aveva lo stesso ghigno che tanti anni prima aveva visto nascondersi dietro le spalle del giovane in bicicletta. Spaventata corse via dallo specchio e cominciò a riflettere meglio su ciò che era accaduto. Comprese che il tocco di quell’essere malefico, le aveva oscurato una parte dei suoi occhi, quella che andava diritta al cuore. Era quello il motivo per cui non riusciva a sentirsi felice! Quell’ombra le impediva di amare.

Ogni sera aveva l’abitudine di guardare fuori dalla sua finestra l’orizzonte, ai margini di un fitto bosco, oltre il quale si poteva intravedere il Río de la Plata. Sotto l’influsso di una splendente luna piena, fu attratta da un bagliore improvviso e intermittente. Quella luce era troppo invitante per resisterle. Senza farsi scorgere da nessuno, uscì per una cavalcata fino a giungere là, dove credette essere ancora presente il bagliore. Si trovò davanti un gaucho, con il suo cavallo. Riconobbe in lui, lo stesso giovane caduto tanto tempo prima dalla sua bicicletta, diventato semplicemente più grande. Per la paura, Chiara rimase pietrificata. In quel breve tempo in cui i loro occhi si incrociarono, ella sentì che la punta del suo naso si era raggelata, mentre il cuore batteva impazzito. Cercò di scendere da cavallo, ma per l’emozione fu maldestra e cadde a terra sporcandosi il volto. Egli le andò vicino per aiutarla. In quello stato però, non la riconobbe. Nel momento in cui si sfiorarono, apparve all’improvviso alle spalle dell’uomo l’orribile ombra mai dimenticata. Atterrita da quella visione cercò di allontanarsi dalle sue braccia, cercando di non farsi toccare. Senza rendersene conto però, durante quella breve quanto concitata fuga, un bottone della giacca dell’uomo le era scivolato in tasca.

Dopo quella sera, Chiara non volle più arrischiarsi ad uscire. Continuava a guardare notte dopo notte – soprattutto quando c’era la luna piena – oltre il boschetto, ma non vedeva mai nulla in grado di attirare la sua attenzione. Il desiderio di quell’uomo cresceva dentro di lei rendendo l’ombra del suo occhio sempre più evidente.

Le ci vollero molti giorni prima di accorgersi che aveva trattenuto qualcosa di molto prezioso, ovvero il bottone riflettente quella strana luce. Quando lo stringeva nel pugno – chiudendo gli occhi – poteva vederne il proprietario. Al pari di una sfera di cristallo, le permetteva di individuare dove si trovava e quello che stava facendo. Era diventato così consolante fermarsi e pensare a lui. Comprendeva che non era educato sbirciare nella vita di quell’uomo, ma non ne poteva davvero fare a meno, era più forte di lei. Quando la luna piena in cielo risplendeva beata e tutti dormivano, ella portava il bottone alla sua presenza e questi illuminava a giorno quanto le era accanto.

Quel bagliore non passò inosservato al diretto proprietario, il quale seguì la luce – come incantato – fino a giungere alla fattoria di Chiara, che lo invitò ad entrare. Mentre i loro occhi si incrociarono una fitta attraversò entrambi. Egli non si rese conto di chi aveva davanti, perché il resto del viso della fanciulla era rimasto in ombra. Il profumo del Mate – l’infuso tipico argentino – aveva aromatizzato l’ambiente al punto da ipnotizzarlo. Senza nemmeno rendersene conto si sentì improvvisamente più rilassato e affamato. Afferrò un raviolo di Empanadas che si trovava davanti a lui sul tavolo e le raccontò di aver sentito l’impulso di seguire una luce che poi, era stranamente svanita nel nulla.

Con i suoi lunghi capelli Chiara cercava di coprirsi il più possibile il viso e lui – che non la vedeva da anni, non riuscì a riconoscerla. Il gaucho le parlò del bottone scomparso da quella giacca, che era appartenuta al padre. L’unico ricordo ancora tangibile rimastogli. Ella fece finta di non saperne nulla. Restituirlo avrebbe voluto dire perderlo per sempre e per quanto ciò la facesse sentire in colpa, non riuscì a svelare il suo segreto. Stava per lasciarlo andare con una stretta di mano, che non si rese nemmeno conto di aver allungato, quand’ecco l’ombra nera apparire nuovamente minacciosa, come infastidita da quel tocco. Chiara fece un salto indietro e il suo viso non più coperto venne riconosciuto. In quell’istante altre due ombre nere comparvero dietro le spalle dell’uomo. Chiara iniziò a gridare, mentre lui non si capacitava del perché lo stesse facendo. Più si avvicinava più lei lo scacciava urlando.

Vedendo la sua agitazione, egli decise di allontanarsi e mentre la vedeva raggomitolarsi in un angolo, sentiva che gli era impossibile abbandonarla. Chiara lo guardò sedersi a terra muto, in attesa di una spiegazione. Si sarebbe aspettata una fuga, invece era ancora lì, davanti a lei. Rassicurata da quel comportamento si decise a tirare fuori dalla tasca il bottone e aprendo la mano glielo mostrò sotto un raggio di luna che filtrava appena dalla finestra.

Ancora una volta si compì la magia. Il bottone illuminò l’ambiente a giorno. Non ebbero più dubbi sulla loro identità, quando sentirono i loro cuori accendersi. Anche le ombre però riapparvero, spaventate da un nuovo timido tocco. Lei decise di confidargli il suo segreto. Gli disse che poteva vedere cose che altri non potevano vedere e che dietro di lui vi erano tre ombre nere. Lui stentò a crederle, ma lei si avvicinò mostrando l’ombra nel suo occhio. Quando lui la vide retrocesse infastidito, ma Chiara aveva pronta la soluzione per entrambi.

«Permettimi di parlare con quelle ombre e forse scopriremo chi sono e cosa vogliono.»

Quella dal ghigno ironico, si chiamava Presunzione ed era stata la prima ad allontanarli. La seconda dai denti aguzzi come una tagliola era Rabbia, mentre la terza, dagli occhi color vermiglio, si chiamava Dolore.

Lui non si capacitava di come aveva permesso a quelle presenze di stargli accanto e loro non lo volevano rivelare, ma il problema più grande era come cacciarle via, dal momento che non sembravano intenzionate a lasciarlo. Mentre rifletteva sul da farsi, Chiara sentì il bottone farle male nel pugno stretto. Aprì la mano e il raggio di luna colpendo la pietra – che vi stava sopra – illuminò la stanza, facendo scappare l’ultimo dei tre demoni.

Osservando meglio l’oggetto scoprì una piccola scritta e lesse forte:

«AMORE! Ma certo, è chiaro! L’Amore vince il Dolore! Perché per amore si può sopportare e rischiare, come stiamo facendo noi due ora. Guardiamo cosa c’è scritto negli altri due bottoni, presto!»

L’uomo prese il secondo bottone tra le mani, ma non riusciva a leggervi nulla, così decise di strapparlo dalla giacca per allungarlo a lei, nella speranza che riuscisse a trovare un’altra parola utile e così fu. Una volta nelle sue mani, Chiara lesse forte:

«“PACE!” Solo la pace può distruggere la guerra, l’odio, il risentimento, il rancore, e la pace viene dal perdono.»

Il gaucho cominciò a piangere, perché aveva perso i genitori da piccolo e il rancore per essere rimasto solo non lo aveva mai abbandonato. Quelle lacrime scivolando sulle sue guance, cominciarono a lavare anche l’ombra nera che si chiamava Rabbia e gli si era posizionata in grembo. La commozione che Chiara provò per lui, lavò via anche il suo risentimento e con esso, una parte del velo che copriva il suo occhio, senza che se ne rendesse conto.

Nel frattempo, passando da un lato all’altro delle spalle dell’uomo, l’ultima ombra smaniava col desiderio implicito di non lasciarlo.

«Presto stacca anche l’altro bottone, guardiamo cosa vi sta scritto sotto!» gli disse Chiara allungando le forbici. «UMILTA’!»

Al contrario di Chiara, l’uomo non fu colto da entusiasmo, anzi si rabbuiò dando maggior soddisfazione alla sua ombra. Alzatosi in piedi stava per andarsene quando si sentì domandare:

«Ma come? Ora che sai cosa serve, non vuoi liberarti anche di questa?» quasi in preda alla disperazione cercò di trattenerlo «Se non lo fai tu, come potrò liberarmene io

Dopo quella frase, l’ultimo velo cadde dal suo occhio. L’ombra aveva ceduto il posto alla luce nel momento in cui lei aveva riconosciuto di non poter far nulla con le sue sole forze. Lo guardò invitandolo a fare altrettanto, ma l’uomo alzò tristemente le spalle e se ne andò via, mentre quella figura oscura gli saltellava da lato a lato baldanzosa.

Il gaucho era scomparso alla sua vista da qualche minuto, quando Chiara si ricordò di avere ancora il suo bottone. Corse alla terrazza aprì il pugno. Guardò per un’ultima volta il bottone che emanava luci intermittenti. Richiusa la mano lo lanciò lontano. La pietra liberò nell’aria danzanti riflessi colorati, che poi caddero in un imprecisato posto, prima di spegnersi definitivamente.

«Spero tu possa trovare il tuo bottone e con esso, la forza di liberarti dalla tua ombra.» disse a bassa voce Chiara.

Chiuse seraficamente la finestra. Si accoccolò sotto la coperta e appena appoggiò la testa sul cuscino, udì distintamente una voce rispondere: GrazieEra la parola necessaria affinché anche lui si liberasse della sua ombra.

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