I CAPELLI DI UNA STELLA

Dal romanzo inedito “Le figlie del Sole”

I CAPELLI DI UNA STELLA

Stella era una bambina timida ma socievole, amava aiutare gli altri senza mai mettersi al centro dell’attenzione. Era stata cresciuta da un’anziana donna appartenente al popolo San i “boscimani” che abitano la regione del Kruger in Sudafrica da almeno 100.000 anni. Non le aveva mai voluto parlare della sua infanzia, non sapeva quindi chi fossero i suoi veri genitori. Ogni volta che faceva domande, la vecchia San ripeteva che era troppo anziana, che non ricordava o semplicemente cambiava discorso, ma una cosa gliel’aveva detta e ridetta tante volte da quando era piccina:

«Tu sei una bambina molto speciale. Quando sei nata le stelle nel cielo hanno fatto festa danzandoti intorno stupite. Una di loro ti ha regalato una luce che non si spegnerà mai. Come il tuo sorriso “my baba”.» E con l’indice, puntualmente le toccava il centro della fronte lasciandosi scappare un’espressione serena, che difficilmente scorgeva il quel viso segnato dal tempo e dalle ristrettezze cui si sottoponeva. Purtroppo, il sorriso della piccola “baba” si spense molto più in fretta di quanto la sua nutrice potesse immaginare.

Il villaggio di Stella era davvero piccolo, eppure apparentemente possedeva tutto quello che le poteva servire per sentirsi appagata, almeno fin tanto che era bambina.

La sua vita, seppur monotona, era scandita dall’avvicendarsi dei suoni alti e bassi dell’mbila, un idiofono che secondo la mitologia bantù, era presente sin dai tempi della creazione del mondo, tanto sacro che anche il suo suonatore veniva considerato una sorta di eletto, un individuo protetto dagli spiriti ancestrali. Ogni lamella presente in quello che a tutti gli effetti le risultava essere il teschio di un animale, rappresentava una fase della creazione e lei si incantava ad ascoltarlo ogni volta che ne aveva la possibilità. Crescendo, riuscì a dimostrare tanto zelo per quello strumento che alla fine, la sua perseveranza venne premiata e seppur di nascosto, ebbe il privilegio di imparare a suonarlo.

Kitenge

Non sembrava mancarle nulla, se non l’affetto di una madre che non aveva mai conosciuto. L’unica cosa che le veniva imposta, era di tagliarsi i capelli una volta al mese. Questo inizialmente non le pesava, ma diventando grande cominciò ad infastidirla. Perché le sue amiche potevano vantare particolarissime treccine, mentre lei era costretta a coprirsi con un kitenge. Un rettangolo di cotone, stampato a cera dalla trama scura su di uno sfondo chiaro. Il tessuto era piuttosto spesso e aveva una bordatura solo sul lato lungo, che amava mettere in evidenza come una specie di corona in grado di farla sentire meno insignificante. Il padre di una sua amica lo aveva portato a casa dopo un viaggio nelle terre dell’ovest e visto che la ragazzina non desiderava indossarlo, glielo donò ben volentieri. Con quella specie di fazzoletto non si sentiva certo più attraente, ma si vergognava meno del suo aspetto.

Un giorno decise di esprimere tutto il suo disappunto per quella presa di posizione della sua tutrice. Quel taglio prendeva sempre più spesso le sembianze di una violenza. Gli amici poi, non smettevano di infastidirla con i loro commenti indelicati, che si stavano arricchendo di dispetti. Il giorno in cui le fecero volare via il suo kitenge, corse a casa in lacrime pronta a scappare se non fosse stata accontentata. Camminare senza quella copertura era stato per lei come mostrarsi in pubblico senza alcun indumento. L’adolescenza era il periodo più appropriato per una sana ribellione.

Supplicò in tutti i modi la vecchia San di non tagliarle più i capelli. Disse di essere disposta a tutto, pur di poterli veder crescere come tutte le altre ragazze della sua età, ma lei fu irremovibile. Quando si rese conto che nulla avrebbe potuto convincerla, Stella giurò che piuttosto che subire un’altra volta quella violenza, sarebbe fuggita. Purtroppo, non bastarono le molte lacrime, i silenzi, le prese di posizione. Quando arrivò il momento del taglio, le forbici erano pronte sul tavolo e la vecchia San la stava aspettando. Stella si nascose in una buca che utilizzavano per tenere al fresco gli alimenti e si rifiutò di uscire senza smettere di supplicarla. L’anziana San appoggiò le forbici e le disse che non le avrebbe potuto tagliare i capelli con la forza, ma che non poteva più tenerla in casa se non lo avesse fatto.

Stella rimase a terra rannicchiata in quella buca dove non avrebbe mai pensato di poter nemmeno entrare, tenendosi le gambe fino a non sentirle più. Calò la notte. Anche il formicolio agli arti per quella scomoda posizione sembrava essere cessato. L’anziana tutrice riapparve con lo stesso sguardo minaccioso. Le disse che il tempo stava per scadere e doveva decidere in fretta. Si fece aiutare ad uscire. Indolenzita e priva di forze, Stella faticava a prendere la posizione eretta. Non aveva più lacrime da versare e si sentiva debole per non aver toccato cibo, ma dopo aver guardato con disprezzo la vecchia Sun, riuscì – senza nemmeno capire come – a ruzzolare fuori inciampando passo dopo passo senza curarsene.

Non aveva una meta, come tutti i folli, mossi solo dalla disperazione.  Si fermò quando le forze l’abbandonarono. In quell’istante fu colta da brividi. Non aveva preso nulla per coprirsi e la notte era piuttosto rigida. I denti stridevano l’uno contro l’altro come i piedi nudi e gelati che si cercavano pestandosi a vicenda. Era necessario trovare un riparo.

Si umiliò bussando alla porta di ogni persona del villaggio che conosceva, ma una dopo l’altra le dissero che non potevano ospitarla per un motivo o per un altro. Avvilita si fermò sotto un grande albero. La stanchezza e il freddo si unirono alla paura di essere assalita da qualche predatore notturno. Raggruppò alcune foglie e si nascose sotto di esse.

Il mattino seguente si svegliò al caldo. Ebbe l’impressione di aver solo sognato, ma una volta aperti gli occhi le scappò un grido, agghiacciante. I suoi capelli erano cresciuti così tanto da crearle una specie di coperta, dalla quale ora faticava a sciogliersi. Provò a divincolarsi, a spostarsi, ma erano troppo fitti e pesanti. Non riusciva a fare un solo passo senza rischiare di essere addirittura soffocata.

Si mise ad urlare e a chiedere perdono, a chiamare l’anziana San affinché venisse ad aiutarla. Quando ormai pensò di non avere più speranza sentì il tanto temuto rumore delle forbici che ora potevano essere la sua salvezza. Non vedeva il volto del suo salvatore, ma in cuor suo non faceva che ringraziarlo e spronarlo a fare in fretta.

Nonostante quelle forbici lavorassero incessantemente le parve che nulla fosse cambiato, anzi, si sentiva venir meno ogni minuto di più. A fatica prima di perdere i sensi riuscì a dire in un lieve sussurro: «Non riesco più a respirare…» la bocca era rimasta aperta, mentre i lunghi capelli la stavano soffocando.

Quando riaprì gli occhi, la vista era offuscata, e solo pian piano si accorse di trovarsi nella sua piccola capanna, mentre il viso familiare della sua tutrice la osservava con un cipiglio per nulla rassicurante.

«Dove sono? Cos’è accaduto?» chiese toccandosi il capo con le mani. Un asciugamano madido lo avvolgeva.

«Non lo togliere o capiterà anche di peggio.» le disse seria San indicando l’uscita «Ora ti mostrerò quello che è accaduto a causa della tua disubbidienza.»

Stella si mise seduta, e a causa di una vertigine, dovette farsi sostenere. Comprese che doveva essere rimasta a lungo incosciente. Timidamente si avvicinò ad una piccola finestrella e vide la terra arida, l’erba secca, solo polvere rossa ovunque, mentre il sole bruciante sembrava aver cotto tutto.

«Ora dobbiamo attendere la prossima luna piena prima di tagliarli nuovamente e speriamo che la situazione migliori presto.» L’anziana donna le spiegò che i suoi capelli crescevano e calavano con le fasi lunari. Se non li avesse tagliati quando la luna era piena, sarebbe stata in pericolo. «Grazie ai tuoi capelli questa valle desertica è rinata, ma senza di essi è destinata a morire.»

«Non posso essere io a fare la differenza. Sono solo una ragazza. Non può dare a me la colpa di tutto

«Esci, guarda con i tuoi occhi. Poi decidi cosa fare.» disse mettendosi a trafficare come se niente fosse tra ciotole e tegami, mentre il suo viso imperturbabile era diventato duro quanto la realtà che stava vivendo.

Una volta fuori dalla capanna vide scene raccapriccianti. Non le sembrava più il suo villaggio. Le persone erano disperate e nemmeno la riconoscevano. I bambini sporchi, dagli abiti consunti si trovavano a pochi passi dalle carcasse di animali morti di fame, ormai in fase avanzata di decomposizione. Solo le mosche sembravano danzare allegre in quello scempio. Uno spettacolo che la fece tornare indietro terrorizzata, rassegnata e piangente. Comprese che non aveva scelta. Quello era il suo destino, per il bene del suo popolo.

Con il tempo tutto tornò alla normalità e le persone accantonarono quel brutto periodo come un evento tragico, destinato a non ripetersi. La loro cultura li portava a non porsi troppe domande, ma a vivere il più possibile fiduciosamente nel presente.  Stella, era l’unica che non poteva farlo, in quanto sapeva quanto fosse importante il suo ruolo.

Con il tempo, si innamorò perdutamente di un giovane che ricambiava il suo sentimento, ma non era disposto a rimanere in quel luogo sperduto tutta la vita. Egli voleva infatti andare per il mondo e dal momento che Stella non poteva rivelare il suo segreto e nemmeno andarsene, si vide costretta a lasciarlo andare solo.

Più cresceva più le delusioni d’amore le rendevano il cuore duro e quando la vecchia San morì, si sentì tentata di abbandonare tutti. Il suo primo amore però tornò dal viaggio intorno al mondo e di nuovo il sentimento più antico e meraviglioso acquietò la sua sete di libertà.

Lui le raccontò le sue esperienze, le parlò di città enormi con strade e veicoli a motore. Gli parlò delle case in muratura, così differenti dalle loro capanne. Ella ascoltava incredula, come una bambina ascolta il proprio maestro raccontare una fiaba. Iniziò a fidarsi sempre più di lui. Nella speranza di essere capita e di non essere mai più lasciata, decise di confidargli il suo segreto. Purtroppo, la modernità aveva reso l’uomo scaltro e opportunista. Una volta scoperto che i suoi capelli possedevano strani poteri, gliene sottrasse alcune ciocche e scoprì che avevano la facoltà di guarire molte malattie. Ne approfittò per farsi pagare ingenti somme di denaro dai poveri ammalati e quando Stella scoprì quello che stava facendo, il dolore che provò nel cuore fu così grande, che i suoi capelli iniziarono a crescere più del dovuto fino a soffocarlo nel sonno.

L’uomo morì ed ella per il dolore e la vergogna si nascose nel Parco nazionale Kruger, la più grande riserva naturale del Sudafrica. Non si mostrò mai più in pubblico, ma alcuni giurano di aver visto i suoi capelli argentati brillare nelle notti di luna piena, prima di essere tagliati.

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CHIARA E LE OMBRE

Dal romanzo inedito “Le figlie del Sole” 

CHIARA E LE OMBRE

 

Chiara vive a Buenos Aires, la grande capitale argentina, a pochi passi dal cuore pulsante della città, ovvero Plaza de Mayo. E’ diventata una bambina molto speciale, nel momento in cui una piccolissima scheggia proveniente da un meteorite – staccatosi dal sole – le si era posato gentilmente al centro della fronte, all’insaputa della sua tata. Da quel momento ella fu in grado di vedere e sentire cose che adulti e coetanei non avrebbero mai creduto possibile.

Era ancora una bambina quando le si presentò davanti un compagno di scuola piuttosto serio. Avrebbe voluto contagiare anche lui con il dono del buon umore, che la metteva sempre al centro dell’attenzione di tutti, ma ogni volta che gli stava vicino il cuore le iniziava a battere fortissimo e la punta del suo nasino diventava fredda come un ghiacciolo, inibendola completamente. Finì per guardarlo solo da lontano. Ogni tanto si azzardava a salutarlo con la mano. Non sempre il bimbo ricambiava quel saluto. A volte aumentava il suo broncio serio per voltarsi altrove e lei ci rimaneva molto male, ma continuava a sperare che prima o poi lui l’avrebbe notata.

Una volta diventata più grandicella i suoi poteri aumentarono e poiché era anche piuttosto intelligente, comprese in fretta che non era il caso di parlare con nessuno di quello che vedeva e sentiva. Faceva davvero una grande fatica a trattenersi, soprattutto quando si trovava in compagnia di quel bambino triste, che le faceva sempre diventare il nasino freddo.

Un pomeriggio di primavera era seduta sulla panchina di un giardino nei pressi della scuola. Stava leggendo un libro, quando il ragazzino le sfrecciò a fianco, urlando dalla sua bellissima bicicletta rossa fiammante. Alzò le spalle e si rimise a leggere. Lui dispettoso le passò nuovamente vicino cantando ad alta voce. Chiara fece un lungo sospiro e riprese da dove era stata interrotta. Per la terza volta egli cercò di attirare la sua attenzione, questa volta con acrobazie pericolose. Chiara ormai stanca di quell’esibizione, si alzò di scatto intimandogli di smetterla. Fu tale la sorpresa del giovane, che cadde a terra ferendosi il ginocchio e un gomito. Ella corse da lui per aiutarlo, ma questi – orgoglioso – non volle il suo aiuto e le ordinò di andarsene. Lei ci rimase molto male. Lasciò improvvisamente la mano che gli aveva preso per aiutarlo e in quell’istante vide un’ombra nera – terribilmente brutta – toccarle il petto e nascondersi nuovamente dietro il giovane, che tornò cupo e malconcio verso casa. Mentre trascinava la sua bicicletta lo sentì rivolgerle alcuni nomignoli poco educati.

Offesa per quel comportamento, raccolse il suo libro, non senza accorgersi che qualcosa di brutto le era capitato. Ebbe l’impressione che quell’ombra le avesse portato via qualcosa dal cuore, perché lo sentiva dolorante. Si guardò bene allo specchio. Apparentemente non le mancava nulla. Eppure, il ghigno di quell’ombra e il dolore che le avevano procurato erano troppo reali per farla stare tranquilla.

Gli anni passarono. Lei si fece sempre più solitaria, quanto bella. Le presentarono un giovane proprietario di una ricca Estancia, un’azienda agricola e turistica, in una fertile e vasta prateria poco fuori città. Egli si innamorò di lei e le propose di sposarla. Chiara non conosceva l’amore e finì per cedere alle sue lusinghe. Lui la portò nella sua grande villa, dove non mancava proprio nulla, anche il paesaggio era meraviglioso. Adorava i cavalli e lì poteva cavalcare ogni giorno, eppure in lei stava crescendo un’incontenibile rabbia. Non riuscire a darsene una valida ragione la faceva entrare in collera anche con se stessa. Non poteva proprio accettare il suo comportamento incontentabile, anche perché il marito la riempiva di attenzioni e di amore.

Un giorno, notò nei propri occhi un’ombra scura. Guardò meglio e si accorse che aveva lo stesso ghigno che tanti anni prima aveva visto nascondersi dietro le spalle del giovane in bicicletta. Spaventata corse via dallo specchio e cominciò a riflettere meglio su ciò che era accaduto. Comprese che il tocco di quell’essere malefico, le aveva oscurato una parte dei suoi occhi, quella che andava diritta al cuore. Era quello il motivo per cui non riusciva a sentirsi felice! Quell’ombra le impediva di amare.

Ogni sera aveva l’abitudine di guardare fuori dalla sua finestra l’orizzonte, ai margini di un fitto bosco, oltre il quale si poteva intravedere il Río de la Plata. Sotto l’influsso di una splendente luna piena, fu attratta da un bagliore improvviso e intermittente. Quella luce era troppo invitante per resisterle. Senza farsi scorgere da nessuno, uscì per una cavalcata fino a giungere là, dove credette essere ancora presente il bagliore. Si trovò davanti un gaucho, con il suo cavallo. Riconobbe in lui, lo stesso giovane caduto tanto tempo prima dalla sua bicicletta, diventato semplicemente più grande. Per la paura, Chiara rimase pietrificata. In quel breve tempo in cui i loro occhi si incrociarono, ella sentì che la punta del suo naso si era raggelata, mentre il cuore batteva impazzito. Cercò di scendere da cavallo, ma per l’emozione fu maldestra e cadde a terra sporcandosi il volto. Egli le andò vicino per aiutarla. In quello stato però, non la riconobbe. Nel momento in cui si sfiorarono, apparve all’improvviso alle spalle dell’uomo l’orribile ombra mai dimenticata. Atterrita da quella visione cercò di allontanarsi dalle sue braccia, cercando di non farsi toccare. Senza rendersene conto però, durante quella breve quanto concitata fuga, un bottone della giacca dell’uomo le era scivolato in tasca.

Dopo quella sera, Chiara non volle più arrischiarsi ad uscire. Continuava a guardare notte dopo notte – soprattutto quando c’era la luna piena – oltre il boschetto, ma non vedeva mai nulla in grado di attirare la sua attenzione. Il desiderio di quell’uomo cresceva dentro di lei rendendo l’ombra del suo occhio sempre più evidente.

Le ci vollero molti giorni prima di accorgersi che aveva trattenuto qualcosa di molto prezioso, ovvero il bottone riflettente quella strana luce. Quando lo stringeva nel pugno – chiudendo gli occhi – poteva vederne il proprietario. Al pari di una sfera di cristallo, le permetteva di individuare dove si trovava e quello che stava facendo. Era diventato così consolante fermarsi e pensare a lui. Comprendeva che non era educato sbirciare nella vita di quell’uomo, ma non ne poteva davvero fare a meno, era più forte di lei. Quando la luna piena in cielo risplendeva beata e tutti dormivano, ella portava il bottone alla sua presenza e questi illuminava a giorno quanto le era accanto.

Quel bagliore non passò inosservato al diretto proprietario, il quale seguì la luce – come incantato – fino a giungere alla fattoria di Chiara, che lo invitò ad entrare. Mentre i loro occhi si incrociarono una fitta attraversò entrambi. Egli non si rese conto di chi aveva davanti, perché il resto del viso della fanciulla era rimasto in ombra. Il profumo del Mate – l’infuso tipico argentino – aveva aromatizzato l’ambiente al punto da ipnotizzarlo. Senza nemmeno rendersene conto si sentì improvvisamente più rilassato e affamato. Afferrò un raviolo di Empanadas che si trovava davanti a lui sul tavolo e le raccontò di aver sentito l’impulso di seguire una luce che poi, era stranamente svanita nel nulla.

Con i suoi lunghi capelli Chiara cercava di coprirsi il più possibile il viso e lui – che non la vedeva da anni, non riuscì a riconoscerla. Il gaucho le parlò del bottone scomparso da quella giacca, che era appartenuta al padre. L’unico ricordo ancora tangibile rimastogli. Ella fece finta di non saperne nulla. Restituirlo avrebbe voluto dire perderlo per sempre e per quanto ciò la facesse sentire in colpa, non riuscì a svelare il suo segreto. Stava per lasciarlo andare con una stretta di mano, che non si rese nemmeno conto di aver allungato, quand’ecco l’ombra nera apparire nuovamente minacciosa, come infastidita da quel tocco. Chiara fece un salto indietro e il suo viso non più coperto venne riconosciuto. In quell’istante altre due ombre nere comparvero dietro le spalle dell’uomo. Chiara iniziò a gridare, mentre lui non si capacitava del perché lo stesse facendo. Più si avvicinava più lei lo scacciava urlando.

Vedendo la sua agitazione, egli decise di allontanarsi e mentre la vedeva raggomitolarsi in un angolo, sentiva che gli era impossibile abbandonarla. Chiara lo guardò sedersi a terra muto, in attesa di una spiegazione. Si sarebbe aspettata una fuga, invece era ancora lì, davanti a lei. Rassicurata da quel comportamento si decise a tirare fuori dalla tasca il bottone e aprendo la mano glielo mostrò sotto un raggio di luna che filtrava appena dalla finestra.

Ancora una volta si compì la magia. Il bottone illuminò l’ambiente a giorno. Non ebbero più dubbi sulla loro identità, quando sentirono i loro cuori accendersi. Anche le ombre però riapparvero, spaventate da un nuovo timido tocco. Lei decise di confidargli il suo segreto. Gli disse che poteva vedere cose che altri non potevano vedere e che dietro di lui vi erano tre ombre nere. Lui stentò a crederle, ma lei si avvicinò mostrando l’ombra nel suo occhio. Quando lui la vide retrocesse infastidito, ma Chiara aveva pronta la soluzione per entrambi.

«Permettimi di parlare con quelle ombre e forse scopriremo chi sono e cosa vogliono.»

Quella dal ghigno ironico, si chiamava Presunzione ed era stata la prima ad allontanarli. La seconda dai denti aguzzi come una tagliola era Rabbia, mentre la terza, dagli occhi color vermiglio, si chiamava Dolore.

Lui non si capacitava di come aveva permesso a quelle presenze di stargli accanto e loro non lo volevano rivelare, ma il problema più grande era come cacciarle via, dal momento che non sembravano intenzionate a lasciarlo. Mentre rifletteva sul da farsi, Chiara sentì il bottone farle male nel pugno stretto. Aprì la mano e il raggio di luna colpendo la pietra – che vi stava sopra – illuminò la stanza, facendo scappare l’ultimo dei tre demoni.

Osservando meglio l’oggetto scoprì una piccola scritta e lesse forte:

«AMORE! Ma certo, è chiaro! L’Amore vince il Dolore! Perché per amore si può sopportare e rischiare, come stiamo facendo noi due ora. Guardiamo cosa c’è scritto negli altri due bottoni, presto!»

L’uomo prese il secondo bottone tra le mani, ma non riusciva a leggervi nulla, così decise di strapparlo dalla giacca per allungarlo a lei, nella speranza che riuscisse a trovare un’altra parola utile e così fu. Una volta nelle sue mani, Chiara lesse forte:

«“PACE!” Solo la pace può distruggere la guerra, l’odio, il risentimento, il rancore, e la pace viene dal perdono.»

Il gaucho cominciò a piangere, perché aveva perso i genitori da piccolo e il rancore per essere rimasto solo non lo aveva mai abbandonato. Quelle lacrime scivolando sulle sue guance, cominciarono a lavare anche l’ombra nera che si chiamava Rabbia e gli si era posizionata in grembo. La commozione che Chiara provò per lui, lavò via anche il suo risentimento e con esso, una parte del velo che copriva il suo occhio, senza che se ne rendesse conto.

Nel frattempo, passando da un lato all’altro delle spalle dell’uomo, l’ultima ombra smaniava col desiderio implicito di non lasciarlo.

«Presto stacca anche l’altro bottone, guardiamo cosa vi sta scritto sotto!» gli disse Chiara allungando le forbici. «UMILTA’!»

Al contrario di Chiara, l’uomo non fu colto da entusiasmo, anzi si rabbuiò dando maggior soddisfazione alla sua ombra. Alzatosi in piedi stava per andarsene quando si sentì domandare:

«Ma come? Ora che sai cosa serve, non vuoi liberarti anche di questa?» quasi in preda alla disperazione cercò di trattenerlo «Se non lo fai tu, come potrò liberarmene io

Dopo quella frase, l’ultimo velo cadde dal suo occhio. L’ombra aveva ceduto il posto alla luce nel momento in cui lei aveva riconosciuto di non poter far nulla con le sue sole forze. Lo guardò invitandolo a fare altrettanto, ma l’uomo alzò tristemente le spalle e se ne andò via, mentre quella figura oscura gli saltellava da lato a lato baldanzosa.

Il gaucho era scomparso alla sua vista da qualche minuto, quando Chiara si ricordò di avere ancora il suo bottone. Corse alla terrazza aprì il pugno. Guardò per un’ultima volta il bottone che emanava luci intermittenti. Richiusa la mano lo lanciò lontano. La pietra liberò nell’aria danzanti riflessi colorati, che poi caddero in un imprecisato posto, prima di spegnersi definitivamente.

«Spero tu possa trovare il tuo bottone e con esso, la forza di liberarti dalla tua ombra.» disse a bassa voce Chiara.

Chiuse seraficamente la finestra. Si accoccolò sotto la coperta e appena appoggiò la testa sul cuscino, udì distintamente una voce rispondere: GrazieEra la parola necessaria affinché anche lui si liberasse della sua ombra.

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LA PROFEZIA DEL NONO MAGUS

Dal romanzo inedito “Le figlie del Sole” 

LA PROFEZIA DEL NONO MAGUS 

Un giorno qualunque, il Prof. Magus stava studiando le sue carte quando, venne folgorato da un’illuminazione. Corse al telescopio e poi di nuovo alle mappe celesti. Prese le squadre, il compasso e ancora avanti e indietro da un posto all’altro della biblioteca fino ad urlare il nome del suo aiutante, lungo l’interminabile scalone che lo separava dall’esterno.

«Pluto! Pluto! Plutone!» cominciò ad urlare l’astrologo «Dove sei? Presto vieni qui!»

Affannato un ragazzo di circa quattordici anni probabilmente affetto da nanismo, con il fiatone e un secchio pieno d’acqua in mano, si fermò cadendo in ginocchio davanti a lui.

«Cosa ci fai con quel secchio in mano? E perché ci hai messo tanto?» chiese piuttosto alterato il professore.

«Stavo lavando le scale e ho fatto fatica a salire. Il secchio è piuttosto pesante.»

Il povero Magus alzò gli occhi al cielo.

«Non potevi lasciarlo dov’era?»

«Non ci avevo pensato. Ora lo porto giù e torno

«Fermo lì. Lascia stare tutto! E’ un momento troppo importante.» rispose investendolo con il suo entusiasmo «Sta succedendo una cosa incredibile!» Con una mano lo invitò a seguirlo al telescopio, per poi avvicinarsi a lui così tanto che il povero Plutone sgranò gli occhi preoccupato «Ricordi cosa dissi riguardo la profezia del Nono Magus? Quello che da secoli stavamo aspettando, sta per compiersi. I tre giorni di buio stanno per arrivare e dobbiamo fare molta attenzione a dove cadrà il Crystal Ignis. Solo il meteorite di fuoco potrà salvarci dalla distruzione totale. Lui e le cinque prescelte.» Parlava in maniera concitata con una palese soddisfazione.

«Io però non ho ancora capito bene come faremo a trovarle?» lo apostrofò incredulo il suo ascoltatore «Non sarebbe più semplice prendere noi la pietra? A che ci servono delle donne?»

«Certe volte ho come l’impressione, che tu sia un caso perso…» rispose scuotendo la testa «Come potrai sostituirmi?» Si sedette sfiduciato e stanco picchiettandosi le sopracciglia con i polpastrelli. Per lui, il metodo più immediato per rilassarsi. Acquietato da quel gesto consolatorio alzò lo sguardo e proseguì «Non sono donne comuni. Sono bambine che grazie ai frammenti di questa pietra avranno dei poteri speciali, tutti differenti e fondamentali per far funzionare il Crystal Ignis. Loro sono la chiave. Potranno prenderlo in mano senza danno e scatenare il loro potere fino a sconfiggere il buio. Credo di avertelo detto almeno un milione di volte!»

Il ragazzino non sembrava molto convinto.

«Siamo solo due e dobbiamo seguire la traiettoria di una cometa e di cinque schegge della stessa con queste attrezzature che cadono a pezzi come la nostra torre? … non ce la faremo mai!» obbiettò Pluto e preso il suo secchio stava per scendere nuovamente le scale.

«La scienza ci verrà in aiuto.» si affrettò a controbattere il Prof. Magus posizionandosi davanti a lui «Registreremo il fenomeno e attraverso i calcoli, troveremo il punto esatto in cui cadranno. Non possiamo affidarci solo alla profezia, dobbiamo fare la nostra parte. Siamo anche noi dei prescelti. Il destino dell’umanità è nelle nostre mani!» Più che mai eccitato lo aveva afferrato per la felpa, come per scuoterlo dal suo torpore.

Se è davvero così… forse dovrei provare a terminare il mio gioco on line invece di lavare i pavimenti, perché sarà davvero la fine” pensò Pluto senza aver il coraggio di condividere il pensiero appena espresso nella sua mente. Per quanto amasse guardare il cielo, non credeva di essere in grado di leggere le stelle, non credeva più nemmeno alla possibilità da parte degli uomini di interpretare i movimenti dei pianeti, anche se attribuiva al professore una buona dose di volontà e determinazione nel provarci. Credere in un futuro catastrofico, era per lui come pensare che un giorno avrebbe visto un unicorno volare. Cresciuto tranquillo su quella montagna dall’età di dieci anni, con quell’esaltato professore di astronomia, che sembrava eccitarsi un po’ troppo davanti ad una stella cadente, mentre lui dal telescopio non riusciva a vedere la metà di quello che gli suggeriva, era pretendere troppo. Voleva continuare la sua esistenza senza eccessive emozioni.

«Tranquillo Prof., non vi agitate o dovrò portarvi le pillole per la pressione! Ce la faremo a sopravvivere tutti. Le ragazze – a quanto dice – sembrano in gamba e con i super poteri troveranno la pietra e ci salveranno. Se questa è la profezia, per quale motivo preoccuparsi? Per giunta, cosa c’entriamo noi?»

L’astronomo comprese che non poteva fare affidamento su quel giovane inesperto e poco incline a comprendere la sua scienza. Come pretendere che capisse i suoi affanni? Affondò definitivamente rassegnato la testa tra le sue carte e continuò i suoi studi in attesa del grande evento.

 

Ecco, cari lettori, come inizia la nostra storia. Come avrete capito la missione non è semplice, ma di certo questi due risoluti personaggi ce la metteranno tutta. Prima di vedere come però, voglio parlarvi di queste cinque prescelte dall’astro più luminoso della nostra galassia e di come l’incontro con questa fatidica scheggia le renderà tutte sorelle, tutte speciali e straordinariamente importanti per la salvezza del nostro pianeta; riservando conseguenze inimmaginabili anche per coloro che avranno la fortuna di conoscerle.

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